New York. Il mondo conservatore è nel caos, quasi in guerra civile, nel giorno delle primarie repubblicane in Michigan. Manca un leader, un’idea, una via d’uscita certa che consenta alla Right Nation di superare la rassegnazione alla sconfitta che si è diffusa negli ultimi tempi. I candidati in lizza per la Casa Bianca 2008 sono a grandi linee i rappresentanti di varie anime del partito, quella della sicurezza (Rudy Giuliani), quella della “national greatness” (John McCain), quella economica (Mitt Romney), quella cristiano-evangelica (Mike Huckabee), quella del vecchio sud conservatore (Fred Thompson), quella libertaria (Ron Paul). Nessuno riesce a sintetizzarle, a rinnovarle e a emergere come quel “nuovo tipo di repubblicano”, secondo la celebre definizione del 2000 di George W. Bush, di cui ci sarebbe bisogno per riaggiornare la coalizione reaganiana che ha dominato la scena politica americana.
Bush aveva trovato la formula del conservatorismo compassionevole, l’idea di utilizzare la leva dell’intervento pubblico odiato dai reaganiani e gli strumenti governativi cari ai liberal, ma senza rinunciare al taglio delle tasse, per promuovere politiche che fossero allo stesso tempo conservatrici e solidali. Con l’eccezione di Mike Huckabee, oggi nessuno dei candidati repubblicani segue quel modello. La gara repubblicana sembra così essere tornata indietro di vent’anni, al 1988, quando ci si chiedeva chi avrebbe potuto raccogliere l’eredità di Ronald Reagan. L’establishment del partito, formatosi in quegli anni, prova a tenere in piedi l’alleanza tra i conservatori sociali, i liberisti, gli isolazionisti e i neoconservatori costruita da Reagan per combattere all’estero il comunismo e in casa l’eccessiva ingerenza dello stato. Il prescelto era il senatore George Allen, prima che perdesse il seggio due anni fa alle elezioni di metà mandato. Poi, più timidamente, il candidato è diventato Mitt Romney, ma le prime sconfitte dell’ex governatore del Massachusetts hanno riaperto la partita.
La ricetta per risorgere tutto sommato è semplice, scrivono i principali analisti conservatori, ed è quella di trovare il giusto equilibrio tra le diverse anime, ma è più facile a dirlo che farlo, anche perché, finché non ci sarà, i liberisti e gli evangelici, i neocon e i paleocon, non sembrano comportarsi come alleati naturali. Allo stesso tempo c’è anche da aggiornare la tradizionale agenda politica reaganiana, perché nel 2008 ci sono urgenze e problemi diversi rispetto al 1980.
La battaglia non è solo nelle urne delle primarie, ma in libreria. C’è “Heroic conservatism” di Mike Gerson che propone una riedizione del bushismo, “Comeback, Conservatism that can win again” di David Frum che spiega come la crociata anti tasse non sia più decisiva come ai tempi di Reagan, perché venticinque anni di riduzione fiscale hanno portato le aliquote sui redditi personali a livelli accettabili. “Leave Us Alone: Getting the Government’s Hands Off Our Money, Our Guns, Our Lives” di Grover Norquist considera il male assoluto ogni tipo di intervento statale, mentre “Grand New Party: How Republicans Can Win the Working Class and Save the American Dream” dei due giovani Ross Douthat e Reihan Salam invita ad invadere il campo democratico e provare a offrire sicurezza sociale alla working class, invece che continuare ad attuare ricette liberiste in un paese già completamente liberalizzato.
16 Gennaio 2008