New York. Hillary Clinton ha tenuto il comizio di chiusura della sua campagna elettorale in Iowa dentro un museo di Des Moines, di fianco a un enorme scheletro di mammut. La targhetta della mostra spiegava che l’animale preistorico è stato testimone del cambiamento del suo tempo perché “ha assistito alla scomparsa del suo mondo e all’usurpazione del suo dominio”. L’infelice location scelta dalla campagna di Hillary è l’immagine più vivida di che cosa sta succedendo nella campagna elettorale presidenziale: la fine dell’era clintoniana, l’ambiziosa e controversa stagione politica che ha alternato modi innovativi di governare a cinica strategia politica.
La brillante stagione dei Nuovi Democratici e della Terza Via è cominciata alla fine degli anni Ottanta con l’idea di un approccio centrista di riforma della sinistra e del paese, in contrapposizione al dominate radicalismo liberal. La critica al clintonismo era che mancasse di visione strategica, di idea per il futuro e che fosse più che altro una tattica elettorale, la famigerata “triangolazione clintoniana”, un modo cioè di rendere i democratici più accettabili alla maggioranza conservatrice del paese attenuando le posizioni più radicali e utilizzando parole d’ordine della parte opposta come “l’era dell’intervento pubblico è finita”. Clinton è l’unico democratico ad aver vinto negli ultimi 32 anni, la prima volta grazie anche alla presenza di un terzo candidato Ross Perot, la seconda raccogliendo il merito dei successi della New Economy. Da allora i clintoniani hanno smesso di pensare al futuro, “don’t stop thinking about tomorrow” era la canzone-inno dei Fleetwood Mac della loro prima campagna elettorale, e si sono messi a ripensare nostalgicamente ai vecchi tempi, trasformando la candidatura di Hillary in un referendum sull’era clintoniana. Un errore, ammesso che di errore si tratti, che non avevano commesso Al Gore e John Kerry, accusati di aver perso le elezioni del 2000 e del 2004 per essersi volontariamente rifiutati di raccogliere il testimone dell’ingombrante presidente uscente. Lo stratega elettorale di Gore e Kerry, Bob Shrum, in un libro di memorie uscito pochi mesi fa, ha svelato che nel 2000 tutti i sondaggi interni, nessuno escluso, segnalavano consistenti dosi di negatività intorno al clintonismo, malgrado l’indice di gradimento sulla sua presidenza fosse alto.
La doppia sconfitta di Gore e Kerry ha fatto venire il dubbio che la scelta di allontanarsi dalla magia clintoniana si stata sbagliata. In realtà, come hanno spiegato John Micklethwait e Adrian Wooldridge nel libro “La destra giusta”, Bush ha vinto perché molto più dei Clinton e dei suoi eredi era sintonizzato con lo spirito dell’America.
Al di là del risultato di giovedì in Iowa e poi di ieri notte in New Hampshire, peraltro ancora recuperabile da Hillary nei prossimi turni elettorali (anche Bill, nel 1992, perse sia Iowa sia New Hampshire), le probabilità della fine di un’epoca sono consistenti. La stessa Hillary è stata costretta ad adeguarsi al nuovo sentimento populista e di insoddisfazione nei confronti della globalizzazione, quindi a rinnegare alcuni dei pilastri della politica economica clintoniana.
La voglia di cambiamento sembra superare la nostalgia di quell’età d’oro in cui, prima che Osama Bin Laden facesse riemergere tutti dal sonno, sembrava che la storia fosse finita. Così gli stessi giornali liberal che fino a poco tempo fa raccontavano meraviglie dell’era clintoniana, ora prendono in giro l’ex presidente con articoli di prima pagina che lo descrivono come una star in declino e sul viale del tramonto che ha perso il suo tocco magico e il suo appeal politico-sessuale. Bill è ritratto come un pugile suonato del secolo scorso e ai suoi comizi in New Hampshire è capitato spesso che le sale non fossero piene, che la gente sonnecchiasse, che molti se ne andassero prima della fine. Incalzata dalla voglia di cambiamento che esprime Barack Obama, Hillary ha perso lo status di favorita del partito, l’establishment comincia a riposizionarsi, i soldi non arrivano come una volta. Alla domanda se avrà ancora la forza di continuare, Hillary è quasi scoppiata in lacrime, spiegando che per lei la battaglia non è politica, ma personale.
Ecco, per una buona parte degli americani è una questione personale, oltre che politica. Metà degli americani dice che non la voterà mai, ma l’odio nei confronti della “bitch”, della “stronza”, come ha detto un supporter di John McCain, non è sessista, ma un rigetto del clintonismo, inteso come un fenomeno politico ambizioso e spregiudicato.
9 Gennaio 2008