Camillo di Christian RoccaObama & Huckabee

Des Moines (Iowa). Barack Obama e Mike Huckabee, uno democratico e l’altro repubblicano, hanno vinto con otto, nove punti di scarto sui diretti avversari i caucus dell’Iowa, il primo test elettorale dell’elaborato processo di selezione dei candidati americani alla Casa Bianca. La partita è ancora apertissima, soprattutto in casa repubblicana, e non bisogna sopravvalutare gli effetti dei caucus. Nell’anno della loro prima elezione alla Casa Bianca, qui, Ronald Reagan, George Bush senior, Jimmy Carter e Bill Clinton sono arrivati secondi o terzi, mentre solo George Bush junior ha vinto prima l’Iowa e poi la presidenza.
Il messaggio politico proveniente dal voto però è chiaro: gli americani vogliono voltare pagina e costruire un futuro di speranza che chiuda l’era delle guerre culturali degli anni Sessanta e delle battaglie partitiche degli anni Novanta. Le parole d’ordine di Barack Obama e Mike  Huckabee, al di là delle diverse posizioni politiche, sono le stesse e, come ha detto esplicitamente il capo della campagna di Huckabee, Ed Rollins, i due vincitori delle primarie dell’Iowa rappresentano la medesima volontà di cambiamento. Gli sconfitti sono i candidati d’apparato e quelli più visibilmente assimilabili a politiche del recente passato: Hillary Clinton (terza) e Mitt Romney (secondo).
Obama e Huckabee sono politicamente molto diversi, però hanno molte caratteristiche in comune. Sono i candidati più giovani dei rispettivi partiti, i meno legati alla politica politicante di Washington, i più capaci di oltrepassare i confini ideologici, quelli che sanno parlare con più convinzione di valori, di cambiamento, di speranza e di unità del paese.
Obama e Huckabee sono due leader cristiani del nuovo secolo, irriconoscibili rispetto ai loro tradizionali predecessori. Obama non è un democratico arrabbiato come lo era il reverendo Jesse Jackson, né come il reverendo Al Sharpton, cioè come i prototipi di leader religiosi afro-americani, sebbene si sia formato politicamente sui sermoni di Jeremiah Wright, l’incendiario predicatore nero della Trinity United Church of Christ di Chicago.
Huckabee è l’esatto opposto del politico apocalittico della destra religiosa, bigotto e ombroso, malgrado sia egli stesso un predicatore battista laureato in Studi biblici. Entrambi, Obama e Huckabee, sono influenzati dalle rispettive esperienze religiose e di impegno sociale nella propria comunità: la teologia della liberazione e il volontariato nel south side di Chicago per il democratico Obama; il cristianesimo conservatore e l’opera caritatevole delle chiese nella cintura biblica del sud per il repubblicano Huckabee.

L’arte della predicazione religiosa
Tra i due è Obama quello che usa di più l’arte retorica della predicazione religiosa. Huckabee fa molte più citazioni bibliche e riferimenti a Gesù Cristo, che pure non mancano in Obama, ma i discorsi del senatore democratico hanno la cadenza, il ritmo e la circolarità di un sermone domenicale, come nella migliore tradizione oratoria del reverendo Martin Luther King. Obama ama parlare dando le spalle a un palco rialzato occupato da ragazzi che sottolineano con numerosi “yeah” le frasi più ispirate e più incisive del suo discorso, come se volesse dare così l’immagine di trovarsi su un pulpito posto davanti a un coro gospel.
A destra Huckabee è accusato di essere poco meno di un liberal e un esponente della sinistra religiosa, perché da governatore dell’Arkansas ha alzato le tasse e usato la leva dell’intervento pubblico per combattere la povertà, il razzismo, l’analfabetismo e addirittura per aiutare le famiglie più bisognose degli immigrati clandestini. A sinistra Obama è criticato perché crede ingenuamente che si possano ottenere risultati sedendosi intorno a un tavolo con i poteri forti e con gli avversari repubblicani, invece che dichiarare loro guerra.
Huckabee riceve inaspettati elogi pubblici dal professore dell’Università di Princeton Cornel West e dall’editorialista del New York Times Frank Rich, due dei più radicali osservatori della vita pubblica americana. Frank Rich e Cornel West, quest’ultimo professore di Religione, alle elezioni sostengono Obama. Il senatore nero dell’Illinois piace a molti repubblicani, alcuni dei quali, nei caucus dell’Iowa, hanno addirittura cambiato partito e votato per lui. Il neoconservatore David Brooks sul liberal New York Times ne scrive meraviglie, l’house organ del movimento, il Weekly Standard, gli dedica copertine (titolo: “Sant’Obama”), mentre l’ideologo neocon Robert Kagan ha più volte lodato l’approccio della sua politica estera.

I più distanti e i più vicini a Bush
Obama e Huckabee sono contemporaneamente i candidati più distanti e più vicini a George W. Bush. Obama è l’unico del gruppo dei big a essere stato contrario alla guerra in Iraq fin dall’inizio, Huckabee è il repubblicano più critico nei confronti della dottrina Bush. Il senatore democratico, però, è anche un teorico dell’interventismo (“l’America deve guidare il mondo nel dare battaglia al male e nel promuovere il bene”), sebbene negli ultimi mesi abbia evitato di tornare sull’argomento. Ma già nel discorso della vittoria di Des Moines, Obama ha reintrodotto il tema della minaccia terroristica, spiegando che “l’11 settembre non è uno strumento per racimolare voti, ma una sfida che deve unire l’America e il mondo contro le minacce comuni del Ventunesimo secolo, la minaccia del terrorismo e delle armi nucleari, dei cambiamenti climatici e della povertà, dei genocidi e delle malattie”.
Huckabee ha scritto in un saggio su Foreign Affairs che “l’arrogante mentalità da bunker dell’Amministrazione Bush è stata controproducente”, ma ha anche detto che ascolterebbe i consigli di John Bolton (ex ambasciatore alle Nazioni Unite di Bush) e del neoconservatore Frank Gaffney jr (oltre che dell’interventista liberal Thomas Friedman). Nello stesso saggio, inoltre, Huckabee parla di nemico islamista, suggerisce di studiare gli scritti di Sayyid Qutb e dei Fratelli musulmani e spiega che le attuali dittature del medioriente e le sue alternative islamiste sono il prodotto dello stesso radicalismo.

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