Camillo di Christian RoccaBye-bye Romney

Washington. Mitt Romney si è ritirato dalla corsa alla Casa Bianca tra le lacrime, la delusione e la disperazione dei suoi sostenitori che ieri, con ben altre aspettative, avevano riempito di bandierine rosse e cartelli blu la maestosa sala dell’Omni Shoreham hotel. L’occasione era l’annuale Cpac (Conservative Political Action Conference), la più importante conferenza di militanti conservatori d’America, resa celebre da Ronald Reagan e considerata dagli analisti politici il cuore pulsante della Right Nation. Poco prima di Romney aveva parlato il vicepresidente Dick Cheney, applaudito come un eroe moderno. Poco dopo è intervenuto John McCain, ora a un passo dalla nomination di un partito che continua a guardarlo con sospetto. Oggi tocca a George W. Bush. Ma è stata la decisione “non facile” di Romney di “sospendere la sua campagna” a rubare la scena e a sottolineare che questa è la stagione elettorale della passione, della poesia, della fede e dello spirito indipendente. Il risultato della candidatura di Obama da una parte, e di McCain e Huckabee dall’altra, comunque vadano a finire le primarie, è la sconfitta della politica razionale, secchiona o, come diceva Mario Cuomo, “in prosa”, di cui Romney è uno dei principali esponenti.
Romney s’è ritirato perché McCain alle primarie ha preso più voti e più delegati, ma anche perché non è riuscito a convincere il partito repubblicano di essere l’alternativa autenticamente conservatrice all’eroe di guerra McCain e al leader cristiano Mike Huckabee. Poco prima di lasciare, Romney ha detto che avrebbe voluto andare fino in fondo, fino alla convention di Minneapolis, come fece Ronald Reagan nel 1976 in occasione del suo primo, fallito, tentativo di ottenere la nomination repubblicana, “ma questa volta è diverso – ha detto – siamo in guerra e Barack e Hillary sono stati chiari sull’Iraq e sulla guerra al terrore: si vogliono arrendere e dichiarare sconfitta. Le conseguenze sarebbero devastanti, concordo con McCain”.

(segue dalla prima pagina) La corsa dell’ex governatore del Massachusetts era cominciata un anno fa proprio in questa sala, in occasione del Cpac 2007. Allora si era presentato ai militanti della rivoluzione reaganiana come l’unico capace di riunire i conservatori sociali, i liberisti e i falchi sulla sicurezza nazionale. Non c’è riuscito. Il suo approccio tecnocratico, freddo e business oriented non ha funzionato. Romney è sembrato un robot guidato da sondaggi e da focus group, più che dalle sue intime convinzioni. Perfetto l’epitaffio dell’Economist: “A differenza di tutti gli altri ancora in corsa, lui ha davvero guidato molte cose – uno stato, un enorme business e i giochi olimpici – e lo ha fatto molto bene. Se solo credesse in qualcosa sarebbe una forza inarrestabile; purtroppo il suo colore politico sembra cambiare a seconda delle persone che si trova di fronte”. Romney ha provato anche a giocare la carta religiosa, più per fugare i dubbi sulla sua fede mormone che per altro, ma gli evangelici continuano a preferirgli Huckabee, un caldo leader cristiano che parla al cuore dei suoi elettori. McCain, invece, entusiasma chi crede nella grandezza internazionale dell’America e non vuole perdere la guerra. Romney non ce l’ha fatta e ha deciso di ritirarsi per evitare di favorire Hillary e Obama: “La mia campagna non può aiutare la resa al terrorismo”, ha detto tra le lacrime dei sostenitori, per una volta sinceramente emozionati. (chr.ro)

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