New York. Dieci a zero per il senatore nero, metà americano e metà africano. In due settimane Barack Obama ha sconfitto dieci volte in dieci diversi stati Hillary Clinton nella corsa alla nomination del Partito democratico. Ciascuna di queste vittorie obamiane è stata netta, con uno scarto almeno del 17 per cento. Obama è nato alle Hawaii da madre bianca del Kansas e da padre nero del Kenya. Cresciuto dai nonni bianchi secondo i tipici valori della famiglia tradizionale del midwest, Obama ha trascorso la sua adolescenza alla ricerca delle radici africane del padre, trovando un surrogato alla figura paterna nell’orgoglio nero e nelle lotte della comunità afroamericana di Chicago di cui non faceva parte, ma dove ha scelto di vivere e di frequentare la chiesa più radicale, più nera e più africanocentrica del paese. Eppure Obama non è il candidato afroamericano, ma il politico che prova finalmente a superare le divisioni razziali. Così, dal giorno del supertuesday, Obama ha vinto ovunque, in stati a maggioranza nera e in stati bianchi, tra i giovani e gli anziani, tra i maschi bianchi, i più ricchi e i più istruiti. Ora ha cominciato a sconfinare nei territori clintoniani, tra la middle e la working class americana, meno impressionabile dal messaggio di sogno, speranza e cambiamento offerto da Obama. Hillary continua a essere preferita soltanto tra le donne anziane e a mantenere una solida base tra l’elettorato femminile, ma non è più sufficiente. Ieri Obama ha vinto nettamente anche in Wisconsin e alle Hawaii, il primo uno stato demograficamente favorevole a Hillary, il secondo la sua isola natale. Il “momentum”, cioè il vento favorevole, è alle spalle di Obama. I suoi successi sono accompagnati da una raccolta di fondi che non ha paragoni nella storia politica americana. A gennaio, Obama ha raccolto 36 milioni di dollari, 28 dei quali online, provenienti da 300 mila donatori diversi che hanno al 90 per cento versato meno di 100 dollari a testa, quindi in teoria ancora ricontattabili per ulteriori donazioni, visto che il limite federale è di 2.300 dollari l’anno. Hillary s’è fermata a tredici milioni e mezzo di dollari (dodici per John McCain), con un numero di donatori infinitamente minore.
La partita, però, non è sul numero di stati vinti né sulla raccolta fondi, è sul numero dei delegati che ciascuno dei due candidati sarà in grado di schierare alla convention di Denver di fine agosto. I conti non sono chiarissimi, ma Obama è in vantaggio di un soffio su Hillary e ancora a poco più di metà del cammino. C’è la questione dei 796 superdelegati, cioè i maggiorenti e gli eletti del partito, in leggera maggioranza pro Hillary, ma sempre più attratti da Obama. Lo scarto tra i due concorrenti è molto probabile che resti ridotto, a causa di un sistema elettorale che, a differenza di quello usato dai repubblicani, non concede al vincitore delle primarie nei singoli stati tutti i delegati in palio, ma li assegna in base alla percentuale di voto ottenuta nelle singole circoscrizioni in cui è diviso lo stato. A Hillary, quindi, non è servito vincere in modo solido negli stati più popolosi, e più liberal, come California, New York, New Jersey, Massachusetts, ma con il sistema elettorale “winner takes all” dei repubblicani oggi sarebbe a un passo dalla nomination. Potranno decidere i cosiddetti superdelegati, magari ribaltando il risultato ottenuto sul campo, come successe nel 1984 con Walter Mondale, scelto dall’establishment del partito per affrontare Ronald Reagan, malgrado Gary Hart avesse ottenuto più delegati.
Il 4 marzo Hillary ha la possibilità di riscattarsi in Texas e Ohio. Poco dopo ci sarà la Pennsylvania. I delegati in palio saranno moltissimi, ma per recuperare Hillary dovrà vincerli tutti e tre e, possibilmente, con un ampio margine. I sondaggi, fino alla settimana scorsa, la davano avanti in modo netto in tutti e tre gli stati, ma negli ultimi giorni il vantaggio del Texas è quasi sparito.
Hillary sta provando a rimodulare la sua strategia anti Obama, in modo da far comprendere agli elettori che lei, a differenza del giovane senatore nero, sarebbe pronta a esercitare il ruolo di comandante in capo fin dal primo giorno di lavoro. Obama però ha un grande vantaggio: la percezione molto diffusa tra gli elettori democratici, sostenuta da quasi tutti i sondaggi, secondo cui avrebbe molte più possibilità di battere il repubblicano indipendente McCain.
Christian Rocca
21 Febbraio 2008