Confesso di aver avuto poca fiducia in Walter Veltroni, malgrado ami le stesse cose che piacciono a me: jazz, basket e telefilm americani. Non credevo che Veltroni avesse il coraggio di andare alle elezioni da solo, senza i due o tre partiti comunisti, oggi a lutto per le dimissioni del loro idolo Fidél, senza i pecorari e senza gli scani. Invece Veltroni questo coraggio lo ha avuto e, inoltre, ha avuto anche il merito di presentare un programma di governo e di riforme mica male, sebbene non abbia spiegato per quale motivo questo medesimo pacchetto di riforme (uguale uguale) sia stato giudicato parafascista al momento del referendum confermativo della riforma costituzionale approvata dal Polo (peraltro sulla base delle posizioni dei Ds ai tempi della Bicamerale, ma questa è un’altra storia). Sappiamo come vanno le cose in casa post-comunista: la regola è che con una decina o ventina d’anni di ritardo ci si appropria delle posizioni degli avversari, senza mai riconoscere di aver nel frattempo propagandato soltanto una seria immensa di stronzate.
Epperò viva Veltroni. Anche se non condividevo alcune cose, credevo che il suo sforzo andasse comunque premiato (e punita l’ennesima riproposizione del frontismo anti Berlusconi proposta da quel genio di Max D’Alema). Ero dunque pronto a votarlo e l’ho detto e l’ho scritto in più occasioni. Senonché ha imbarcato Tonino Di Pietro, il simbolo della debolezza democratica del nostro paese e del male politico in cui viviamo. In Italia i governi sono nominati e sgominati dalla magistratura, sia quelli di destra sia quelli di sinistra. Non è una questione di toghe rosse o nere, ma di toghe punto. I post comunisti hanno le loro gigantesche colpe, essendo stati con Achille Occhetto (non a caso poi finito con Di Pietro) gli apprendisti stregoni di questo inferno, convinti come erano di poter imboccare la svelta via giudiziaria al potere. Berlusconi si era messo in mezzo, ma la magistratura alla fine ha prevalso, riuscendo a far cadere anche il governo Prodi, dopo vari tentativi contro D’Alema e Fassino.
In Italia governa la magistratura, sostenuta dai Santoro, dai Grillo, dai Travaglio e dall’Unità fondata da Antonio Gramsci e affondata da Furio Colombo. L’economia è governata dalla magistratura (caso Telecom, Bankitalia, furbetti del quartierino), la tv anche (vallettopoli, Saccà eccetera). Così il calcio e addirittura Casa Savoia sono sottoposti al potere assoluto di una casta che può privare la libertà alla gente senza rispondere a nessuno (al referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei giudici, l’allora Pci votò no). E’ finita che è bastato un pm di Santa Maria Capua Vetere per far cadere the mighty Prodi cabinet.
Eppure Veltroni si è alleato con tutto questo. Non è una semplice alleanza per raccattare qualche voto in più, cosa che il PD avrebbe potuto fare con qualche altro partitino. Mi pare che Veltroni abbia voluto provare a comprarsi legittimità e copertura in quel mondo del terrore manettaro ("quello immediatamente successivo all’arresto è un momento magico", scrivevano Travaglio e Marcello Maddalena in un indimenticato pamphlet di qualche tempo fa), visto che il suo orizzonte politico lo costringerà a dialogare con Berlusconi. La motivazione dell’alleanza con Di Pietro, dunque, è la peggiore possibile, la meno democratica, la più conservatrice, la più codarda. Uno di sinistra (liberale) non può votare Walter V. Peccato.
19 Febbraio 2008