Camillo di Christian RoccaThat's it/4

New York. “Barney Greengrass” su Amsterdam Avenue all’altezza dell’ottantaseiesima strada è dal 1908 il tempio della gastronomia ebraica dell’Upper West Side. Franco Zerlenga, italiano innamorato dell’America, ex professore di Storia dell’islam alla New York University e simpatico guru di riferimento di questo giornale, ordina due piatti tipici della tradizione ebraica importati in città dagli emigranti dell’est europeo: una “knish”, una specie di nostro calzone, però tondo, agli spinaci e un blintz alla ricotta, una versione russa delle crêpe  francesi. Zerlenga ha finanziato la campagna di Barack Obama, teme che il senatore nero possa non farcela, ma crede che sia pronto per la Casa Bianca: “Dopo otto anni di Bush, che come presidente repubblicano è stato un buon presidente, gli americani vogliono voltare pagina. Siamo di fronte a ‘the end of an era’, la fine di una stagione politica, e Obama è il candidato che più di ogni altro, repubblicano e democratico, incarna il cambiamento. Non contro Bush, infatti non dice di voler riparare i danni fatti da Bush, ma a favore di una nuova era politica che finalmente superi le divisioni del passato”. Secondo Zerlenga, Obama è già uno “statista come Truman, Kennedy, Johnson e Nixon”. Reagan no, per Zerlenga “Reagan è stato il prodotto di troppi anni di controllo democratico del Congresso e, soprattutto, dell’esaurimento dell’idea liberal. Reagan era un pragmatico americano, favorito dal fatto di aver incrociato in Europa due statisti come Margaret Thatcher e Michail Gorbaciov”.
Zerlenga, in partenza per l’Italia, si concede una parentesi nostrana: “In Italia, dal dopoguerra, abbiamo avuto soltanto due statisti: De Gasperi e Craxi, that’s it”. Di Craxi, dice che “è stato l’unico a capire che con il Concilio Vaticano II la chiesa era cambiata e per questo ha avuto il coraggio di fare il nuovo concordato, togliendo alla chiesa l’umiliazione di dover chiedere l’autorizzazione per ordinare i vescovi e liberando il paese dalla religione di stato”.

Il popolo religioso fondato da deisti
Di nuovo in America. Il punto decisivo di Obama è quando ripete che “non ci sono bianchi e neri, che non ci sono eterosessuali e gay, che non ci sono religiosi e atei, che non ci sono stati rossi e blu (conservatori e liberal, ndr), ma che ci sono gli Stati Uniti d’America”. L’enfasi obamiana è su “Uniti”, sulla necessità di tornare ai tempi in cui lo scontro politico era più civile: “Tutti sapevano che Roosevelt aveva un’amante, ma non lo diceva nessuno. Tra i repubblicani c’era Rockfeller, un conservatore liberale. Oggi quell’ala del partito è ridotta a tre o quattro senatori, però uno di loro, John McCain, sta vincendo le primarie”.
La differenza tra Obama e McCain è sulla guerra e “vedremo chi dei due gli americani sono disposti a seguire. Obama ha definito la guerra in Iraq una ‘dumb war’, stupida, non sbagliata, stupida perché in guerra non si toglie al principale nemico, cioè all’Iran, il suo principale nemico, cioè Saddam”. E poi Obama sa che gli americani sono un popolo religioso, fondato da deisti. “Gli europei e gli intellettuali americani influenzati dalla cultura europea si preoccupano sempre della religiosità americana, ma dovrebbero ricordarsi che Tocqueville fece il suo viaggio in America lasciando a casa tutte le categorie interpretative occidentali. E qui ha visto, al contrario dell’Europa, che gli edifici delle banche erano più grandi delle chiese e ha capito subito che le chiese americane non erano oppressive”. Obama non è un ideologo, “un vero americano non può essere un ideologo”, ma è un politico di nuova generazione che non ne può più della cultura ideologica degli anni Sessanta sposata dalla sinistra: “Vuole superare la politica dei gruppi etnici, un’antica idea dell’anticomunista liberal Zbigniew Brzezinski per provare a contrastare l’appeal sovietico della lotta di classe, ma anche l’idea scaturita dalla rivolta gay di Stonewall che il sesso sia politica”. Il messaggio di Obama è “se non ci uniamo di nuovo, non possiamo sconfiggere il nemico. No, Obama non è un leftist. Non è né di sinistra né di destra. E’ un’altra cosa. Come Jack Kennedy”. (chr.ro)