Camillo di Christian RoccaYes, amen

New York. Obama è il nuovo messia della politica americana, titola in copertina il tedesco Der Spiegel a poche settimane di distanza dalla cover “Sant’Obama” della rivista neoconservatrice The Weekly Standard. Il fattore messianico della candidatura del senatore nero dell’Illinois è la novità di questo ciclo elettorale, ormai completamente monopolizzato dalla straordinaria capacità di Obama di ispirare elettori e militanti non soltanto democratici grazie a quel suo messaggio ottimista e religiosamente laico a favore del cambiamento, dell’unità e del superamento delle tensioni sociali e culturali create negli anni Sessanta. Sui giornali e sui blog si moltiplicano i racconti della gente comune che fa ore e ore di fila anche in mezzo alla neve pur di assistere alla divulgazione del verbo obamiano, cioè dell’arcinoto discorso “yes we can” che ogni volta produce entusiasmi, mancamenti e commozione molto simili a quelli frequenti nelle chiese evangeliche del sud. La retorica circolare di Obama, tipica della predicazione religiosa e della musica soul, fa venire i lucciconi ai suoi fan, compresi i reporter al seguito. I Clinton si lamentano spesso dell’adorante copertura dei media a favore del loro rivale e i conservatori, anche loro entusiasti di Barack, scrivono che nemmeno Gesù Cristo a Pasqua sarebbe riuscito a oscurare Obama. La rivista di sinistra Slate ha un’ironica rubrica dal titolo “Osservatorio Messia” con cui raccoglie “le prove che Obama sia il figlio di Dio”.
(segue dalla prima pagina) Der Spiegel racconta la storia di Obama e del suo pastore Jeremiah Wright, l’uomo che l’ha convertito, battezzato, sposato e che poi ha accolto la sua famiglia nella chiesa radicale e africano-centrica dove predica l’orgoglio nero, i diritti gay e abortivi, ma anche l’opposizione alla teoria dell’evoluzione: “Il reverendo – ha detto Obama – mi ha presentato un uomo di nome Gesù Cristo, ed è stata la migliore istruzione che abbia ricevuto nella mia vita”.
Il messianesimo di Obama non è soltanto spirituale, si traduce anche in concreti risultati elettorali impensabili fino a pochi mesi fa. Obama ha battuto Hillary in Iowa e altrove e poi ha resistito, perlomeno nel conto dei delegati, al supertuesday che avrebbe dovuto chiudere la partita a favore dei Clinton. Nel weekend Obama ha vinto in quattro stati e nelle isole Vergini e oggi si appresta a vincere la Potomac Primary, in Virginia, in Maryland e a Washington. Hillary ha qualche speranza in Virginia, ma da qui al 4 marzo, quando voteranno i grandi stati del Texas e dell’Ohio, rischia di perdere altre tre volte, alle Hawaii, nello stato di Washington e in Wisconsin. Undici vittorie consecutive in un mese potrebbero seppellire la campagna di Hillary, da ieri guidata dalla fedele Maggie Williams, in termini di inerzia negativa, di copertura mediatica e di raccolta fondi.
Sull’altro fronte, malgrado il sostegno indiretto di George W. Bush a John McCain, il predicatore Mike Huckabee continua a tessere il filo della sua candidatura da leader cristiano. Le sue speranze di vittoria sono pari a zero e anche l’idea di un posto da vicepresidente sembra remota per varie ragioni, una delle quali è stata spiegata al Foglio da David Keene, il presidente dell’influente American Conservative Union: “McCain deve scegliersi un vice conservatore e Huckabee non è un conservatore, è un evangelico”.
McCain continua a non soddisfare la pancia del movimento, ma è improbabile che il sentimento anti McCain della base repubblicana possa tradursi in un disimpegno elettorale. Uno dei motivi è la questione dell’aborto. L’America, a novembre, voterà anche su questo. Il prossimo presidente nominerà due nuovi giudici supremi, in sostituzione di due pronti a dimettersi per anzianità. Hillary o Obama sceglieranno due difensori della sentenza Roe contro Wade che nel 1973 ha esteso il diritto alla privacy fino a ricomprendervi anche la scelta (“choice”) di interruzione della gravidanza. In questo caso la partita antiabortista sarebbe chiusa per parecchio tempo. Il pro life McCain, invece, ha promesso di nominare giudici come John Roberts e Samuel Alito, interessati ad applicare la Costituzione, non ad emendarla. E’ capitato che giudici scelti da Reagan e Bush senior abbiano poi deluso la base conservatrice, ma se McCain non fallisse cambierebbe la maggioranza dentro la Corte e la Roe contro Wade potrebbe essere annullata. (chr.ro)