New York. John McCain sarà il candidato del Partito repubblicano alle elezioni presidenziali di novembre. Martedì ha vinto altre quattro primarie e ha superato il numero di delegati necessario per ottenere, alla convention di fine agosto a Minneapolis, la nomination del Grand Old Party. McCain è un guerriero felice, spavaldo e a suo agio soprattutto quando non è il favorito da sondaggi e senso comune. La sua campagna sembrava finita questa estate e, ancora oggi, sul suo nome restano i mille dubbi di una larga fetta della coalizione conservatrice che ha dominato la politica americana negli ultimi ventotto anni. Eppure McCain ce l’ha fatta e comincia a spaventare seriamente i democratici, convinti fino a poco tempo fa che a novembre sarebbe stata una passeggiata.
Anche Hillary Clinton si è orgogliosamente ripresa, malgrado il vento continui a soffiare dietro Barack Obama, il beniamino dei giornali e dei militanti liberal e democratici. Hillary, però, ha vinto in modo netto in Ohio, Texas e Rhode Island, spiazzando il suo avversario che si era convinto di poterle dare il colpo del ko definitivo. La vittoria della Clinton, secondo la gran parte degli analisti, è dovuta anche alla “linea McCain” adottata dalla senatrice negli ultimi giorni di campagna elettorale. Il punto di svolta è stato lo “spot delle tre del mattino”, quello con cui Hillary ha invitato gli elettori a chiedersi chi vorrebbero ci fosse a rispondere al telefono della Casa Bianca mentre i loro figli dormono tranquilli e i servizi chiamano il presidente per avvertire di un imminente pericolo per la sicurezza nazionale. Hillary, insomma, ha vinto trovando un modo per demolire la credibilità da comandante in capo di Obama, ma anche spianando la strada a John McCain: “Il senatore McCain ha un’intera vita di esperienza, come me – ha ripetuto più volte Hillary in tv – Il senatore Obama ha soltanto un discorso del 2002 (anti guerra in Iraq, ndr)”. McCain non ha seguito il consiglio di chi diceva che l’era post 11 settembre e del pericolo terrorista fosse finita, che l’Iraq fosse un tema radioattivo e che la carta della sicurezza nazionale fosse stata oscurata dalle più urgenti preoccupazioni economiche. L’eroe McCain ha vinto la partita puntando sull’Iraq e sulla sua allora impopolare proposta di inviare più truppe in Iraq, mentre i democratici, e anche alcuni repubblicani, parlavano apertamente di “guerra persa”. I democratici sfottevano McCain attribuendo la decisione di George W. Bush di schierare altri trentamila soldati a Baghdad a una delle tante folli idee di McCain. Ancora adesso, specie gli obamiani, sono convinti di poter travolgere McCain a novembre semplicemente chiamandolo John W. McCain, come se una sua eventuale presidenza fosse il terzo mandato di Bush.
L’endorsement di Bush
McCain, di nuovo, ha rotto lo schema con la sua consueta miscela di carattere, coraggio, eroismo perdurante e incoscienza. La prima cosa che ha fatto ieri mattina, dopo aver conquistato la candidatura, è stata di volare a Washington per pranzare con Bush e accogliere il suo sostegno ufficiale in una cerimonia pubblica nel giardino della Casa Bianca. McCain non ha paura dell’ombra del presidente né della sua impopolarità. E al suo prossimo avversario democratico, sia esso Obama o Clinton, ha preannunciato che difenderà senza esitazioni “la decisione di distruggere il regime di Saddam Hussein” e che si impegnerà a vincere le due guerre in Iraq e in Afghanistan, così come “la lunga e difficile battaglia contro gli estremisti violenti che odiano noi, i nostri valori e la stessa modernità”. Hillary, in piena linea McCain, ieri per la prima volta ha parlato esplicitamente di volersi battere per “vincere la guerra in Afghanistan”.
McCain ha bisogno di costruirsi un’altrettanto credibile piattaforma di politica interna, capace di rivitalizzare l’entusiasmo nel mondo conservatore. Eppure, ancora una volta, invece che piegarsi alle esigenze dettate da consiglieri e focus group, s’è riappropriato di tre delle meno popolari proposte bushiane: la riforma liberale dell’immigrazione, quella privatistica del sistema sanitario e la difesa dei trattati di libero scambio. Tutto questo mentre la tendenza politica è rigida sull’immigrazione, protezionista sul commercio, statalista sulla sanità e disfattista sulla guerra. McCain, però, è un politico audace, uno che dà il meglio di sé e attrae indipendenti quando si muove controcorrente.