New York. La grande sfida tra il messia Barack Obama e la pragmatica Hillary Clinton per la candidatura del Partito democratico alle elezioni presidenziali di novembre contro il repubblicano John McCain ieri ha fatto tappa in Texas e in Ohio, ma anche nei più piccoli stati del Vermont e del Rhode Island. Obama è il favorito per la vittoria finale e i suoi dicono che in realtà ce l’avrebbe già fatta. Hillary cerca di restare aggrappata al minuzioso conteggio dei delegati e fa sapere che senza i super, cioè senza i vertici del partito che potranno liberamente decidere chi appoggiare tra i due, Obama non ce la farà a raggiungere il quorum necessario per conquistare la candidatura.
Negli ultimi giorni, Hillary è tornata a prendere il comando della campagna elettorale, costringendo Obama sulla difensiva sia sulle questioni di sicurezza nazionale sia su quelle economiche. Obama è in una fase delicata perché per la prima volta deve affrontare qualche critica e anche qualche domanda dei solitamente infatuati cronisti al seguito. I comici si sono accorti del trattamento di favore che Obama riceve dalla stampa e ne hanno fatto un tormentone televisivo. Hillary lo ha messo sotto pressione con lo spot delle “tre del mattino” (chi vorresti ci fosse alla Casa Bianca mentre tuo figlio dorme e i servizi segreti telefonano al presidente per avvertirlo di un imminente attentato terroristico?), a cui però Obama ha risposto prontamente con uno spot che invitava gli elettori a non giudicare l’esperienza, ma la capacità di giudizio (chi è stato l’unico a essersi opposto alla guerra in Iraq?).
Poi l’attacco clintoniano si è spostato sull’economia (“Vergognati, Barack Obama”) e sul doppio gioco del senatore che agli elettori dell’Ohio promette ricette populiste e l’uscita dal Trattato di libero scambio con Messico e Canada, mentre il suo stratega economico rassicura un diplomatico canadese dicendogli di non tenere conto di questa retorica elettorale. Dopo aver fatto usare a Bill Clinton, con risultati disastrosi, la carta razziale, Hillary è ricorsa anche a quella che Michelle Obama ha definito la “bomba di paura”, cioè il fumo intorno a un passato islamico del suo avversario, prima trovando il modo di diffondere le foto di Obama in abito somalo e poi dicendo in televisione che “per quanto ne sa” Obama no, non è musulmano. Ieri, infine, è cominciato il processo al costruttore, amico e finanziatore di Obama, Tony Rezko, accusato anche di aver fatto un favore immobiliare al senatore nero. Obama, malgrado questi primi segni di cedimento, continua però a entusiasmare il suo popolo che lo adora come fosse un messia. A chi ancora dubita che sia di religione cristiana, giura che non c’è nulla da temere: “Io prego Gesù ogni notte – ha detto Obama in Ohio – Sono un cristiano devoto e cerco di andare in chiesa il più possibile”.
La campagna “teologica” di Obama
“Sta facendo una campagna teologica – dice di lui il reverendo Jesse Jackson – A un certo punto si è sfilato le braccia e si è fatto crescere le ali”. I suoi comizi gremiti di migliaia e migliaia di persone sono esperienze mistiche, più che politiche. Il tono è quello del predicatore religioso, la risposta è quella dei fedeli che pendono dalle labbra del loro pastore. A Dayton, in Ohio, Obama ha detto che “la mia scommessa è stata vinta, la mia fede nel popolo americano è stata ben riposta”, mentre il pubblico gli rispondeva “predica, fratello” come nelle orazioni delle chiese battiste. Un suo elettore ha detto al Washington Post che “Obama ha questo seguito quasi irrazionale che io stesso a volte non riesco a spiegarmi per quale motivo lo sostengo”. Obama non fa niente per attenuare il misticismo della sua campagna, malgrado i primi segni di insofferenza. Il sito obamamessiah.blogspot.com ha scoperto una sua frase di inizio gennaio, pronunciata a Lebanon, in New Hampshire, che era passata inosservata, ma che già allora mostrava come Obama cominciasse a credere al suo stesso messianesimo, fino addirittura a spingersi a fare una profezia divina: “Una luce brillerà attraverso quella finestra, un raggio di luce vi colpirà, vivrete l’esperienza di un’epifania e improvvisamente capirete che dovete andare alle urne e votare per Obama”. Era il 7 gennaio, il giorno dopo l’epifania, quando secondo la tradizione cristiana la stella cometa si posa su una grotta di Betlemme per annunciare la nascita di bambin Gesù.