Camillo di Christian RoccaThat's it/7

New York. P.J. Clarke’s è uno degli storici “saloon” irlandesi di Manhattan. Fondato nel 1884, in città ora ce ne sono tre. L’originale si trova sulla Terza Avenue all’angolo con la 55esima, tra i suoi clienti regolari c’erano Nat King Cole, Frank Sinatra (titolare del tavolo numero 20) e Jacquie Kennedy, che era solita ordinare due hamburger per volta. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga, di ritorno dalla giungla del Chiapas, quindi affamato, ordina una steak classique con maitre d’hotel butter e racconta che giù in Messico, tramite conoscenti, ha provato a incontrare il collega prof e subcomandante Marcos. Non c’è riuscito, “ma ho visto un bellissimo giaguaro”.
Ex professore di Storia dell’islam alla New York University, Zerlenga vorrebbe parlare di giungle e di elezioni italiane che, in fondo, sono la stessa cosa, ma l’urgenza del caso di Eliot Spitzer, l’ex procuratore diventato governatore e ora costretto alle dimissioni per essere stato scoperto con una prostituta, gli impongono una riflessione: “Andatevi a leggere The Monk di Matthew Gregory Lewis del 1795”. Per chi non l’avesse a portata di mano, Zerlenga spiega che “The Monk” è un romanzo gotico inglese dai toni anticattolici, ambientato nella Spagna dell’Inquisizione, che racconta la storia di padre Ambrosio, “un mr. ethics e mr. morality del Settecento, come oggi Spitzer e Di Pietro, ma che poi si scopre essere un ipocrita incredibile che violentava le ragazze negli scantinati del convento”. That’s it.
Zerlenga cita e cambia anche il famoso detto di Samuel Johnson secondo cui “l’ultimo rifugio dei mascalzoni è il patriottismo”. No, dice Zerlenga, “l’ultimo rifugio dei mascalzoni è il moralismo, il legalismo”. Il caso Spitzer serve al prof per fare più di un’acrobatica incursione sulla situazione italiana: “Spitzer s’è dimesso dopo 78 ore, Bassolino e Iervolino e il loro partito della monnezza stanno ancora lì. E poi, da elettore del partito democratico americano, non posso sopportare l’idea che Walter Veltroni abbia dietro la scrivania la foto di Robert Kennedy accanto a quella di Enrico Berlinguer. Le ho viste a Porta a Porta, mentre ero in Messico, e a quel punto ho detto ‘mo’, m’incazzo’, non è possibile, sono due personaggi completamente opposti”.
Tornando a Spitzer, al moralizzatore moralizzato, Zerlenga dice che la vicenda dimostra ancora una volta come, “per fortuna”, l’essere umano non sia razionale: “Spitzer era irrazionale prima, con il suo essere ‘unforgiven’, senza pietà, con le sue vittime. E lo è stato in quest’occasione”.
A differenza delle inchieste giudiziarie che investono il mondo politico italiano, “in questo caso – dice Zerlenga – non c’è stata una vendetta politica”. L’Fbi, racconta il prof, stava indagando su alcune “shell company” su cui transitavano i soldi pagati al club di escort di cui era cliente Spitzer.
L’ultima cosa, prima del decaffeinato e poi del conto, è una riflessione sul cambiamento dei costumi nella politica americana. Un tempo si diceva che gli scandali dei repubblicani fossero legati ai soldi, mentre i guai sessuali erano di esclusiva competenza dei democratici: “E’ una storia vecchia, ora non è più così”, come dimostrano le vicende del repubblicano Mark Foley, con i paggi del Congresso, del senatore Larry Craig, in cerca di sesso gay nei bagni dell’aeroporto di Minneapolis, e del senatore David Vitter e della sua relazione con una prostituta: “Anche i repubblicani e la destra sentono l’effetto degli anni Sessanta”. (chr.ro)