New York. Barack Obama, per la prima volta in difficoltà a causa dei sermoni contro l’America bianca del suo pastore di Chicago Jeremiah Wright, ha affrontato la più ampia questione della razza in America con un discorso in Pennsylvania, tenuto in una sala a pochi metri di distanza dal posto dove duecentoventuno anni fa i Padri della patria americana scrissero la Costituzione.
Il candidato liberal alla presidenza, in lotta con Hillary Clinton per la nomination del Partito democratico, ha risposto con spirito cristiano e costituzionale alle critiche di essersi associato a un reverendo così radicale e per certi versi razzista cercando di superare il risentimento razziale che divide il paese. L’America può cambiare, ha detto, e l’Unione può essere perfezionata come avevano previsto i Padri fondatori. Obama ha preso nettamente le distanze dalle posizioni politiche del suo reverendo, che pure considera parte della sua famiglia, non ha negato di averle sentite spesso in questi venti anni di sua associazione alla United Trinity Church, ma ha anche rifiutato di rinnegare il suo pastore, “l’uomo che mi ha aiutato a incontrare la fede cristiana”, esattamente come non ce l’ha con la sua nonna materna e bianca che malgrado l’amasse più di ogni altra cosa al mondo ogni tanto si lasciava prendere dai pregiudizi razzisti.
Obama ha spiegato che la sua candidatura è il tentativo di superare le divisioni razziali espresse da Wright, di considerarle conservatrici e obsolete, ma allo stesso tempo parte non solo della sua vita personale, ma anche dell’evoluzione della storia americana. Obama si è candidato a perfezionare l’Unione, riconoscendo il genio dei Padri fondatori, spesso non accettato dalla comunità nera perché gli estensori della Costituzione erano loro stessi proprietari di schiavi. Le posizioni politiche di Wright, ha detto Obama, sono altrettanto distorsive e sbagliate, perché leggono “il conflitto in medio oriente come se avesse origine principalmente a causa dei nostri alleati come Israele, invece che nascere dalle odiose e perverse ideologie dell’islam radicale”.
La vecchia ferita
L’ambizioso discorso di Obama parte dall’idea che bisogna riconoscere come la rabbia del reverendo Wright, per quanto antica, sbagliata e controproducente, non è un caso isolato, c’è, esiste, ed è reale: “Sperare semplicemente che prima o poi vada via e condannarla senza capire le sue radici non fa altro che allargare il divario di incomprensione che esiste tra le razze”. In America, ha detto Obama, “gli afroamericani avvertono la mancanza di opportunità economiche e la vergogna e la frustrazione di non essere in grado di provvedere alla propria famiglia che ha contribuito all’erosione della famiglia nera – un problema che le politiche di assistenza sociale hanno peggiorato”. Ma anche il ceto medio bianco, ha aggiunto Obama, ha le sue ragioni a lamentarsi delle affirmative action che garantiscono un vantaggio ai neri nei posti di lavoro o all’università “a causa di un’ingiustizia che loro stessi non hanno commesso”.
Questa comprensibile rabbia dei neri e dei bianchi è spesso espressa in modo poco civile, ma il problema è reale: “Non sono mai stato così ingenuo da pensare che possiamo superare le divisioni razziali in un solo ciclo elettorale o con una sola candidatura, in particolare con una candidatura così imperfetta come la mia, ma ho una convinzione ferma, una convizione che ha radice nella mia fede in Dio e nella mia fede nel popolo americano: lavorando insieme possiamo andare oltre le nostre vecchie ferite razziali, anche perché in realtà non abbiamo altra scelta se vogliamo continuare nel cammino di perfezionamento della nostra Unione”. (chr.ro)