New York. Nessun riferimento all’Iraq, nessuna critica, nemmeno velata, all’unilateralismo americano. Niente appelli a ritirare le truppe, nemmeno una parola sulla guerra, non una parola di quelle che il mondo liberal americano si aspettava per tornare alla carica contro la politica estera e di sicurezza di George W. Bush.
Il discorso di Benedetto XVI alle Nazioni Unite, ieri mattina, è stato un manifesto in difesa dei diritti umani nella loro integralità e un invito all’Onu a far rispettare la Dichiarazione universale dei diritti umani sempre, comunque e in modo completo, evitando di commettere l’errore di adottare in presenza di violazioni “un approccio pragmatico, limitato a determinare un terreno comune, minimo sui contenuti e debole nei suoi effetti”. La promozione dei diritti umani, ha detto il Papa, è “la strategia più efficace” non solo “per eliminare le disuguaglianze”, ma anche per “aumentare la sicurezza”.
Benedetto XVI ha legittimato il diritto all’ingerenza della comunità internazionale “con i mezzi giuridici previsti nello Statuto dell’Onu e da altri strumenti internazionali”, sulla base del principio che “ogni stato ha il dovere primario di proteggere la propria popolazione da violazioni gravi e continue dei diritti umani, come pure dalle conseguenze delle crisi umanitarie, provocate sia dalla natura che dall’uomo”. Benedetto ha specificato che l’azione della comunità internazionale “non deve mai essere interpretata come un’imposizione indesiderata e una limitazione di sovranità”. Al contrario, ha spiegato, “è l’indifferenza o la mancanza di intervento che recano un danno reale”.
Così come il giorno precedente aveva stupito gli osservatori per aver deciso a sorpresa di incontrare le vittime degli scandali sessuali di un paio di anni fa, Benedetto alle Nazioni Unite ha trovato il modo di raccordare il moderno principio dell’interventismo democratico, elaborato a metà degli anni Novanta da Tony Blair e Bill Clinton e poi ribadito dopo l’undici settembre 2001 dallo stesso Blair e da George W. Bush, con “l’antico ius gentium”. Benedetto ha citato il domenicano Francisco de Vitoria, “il precursore dell’idea delle Nazioni Unite”, per aver promosso “il principio della responsabilità di proteggere”, come “fondamento di ogni azione intrapresa dai governanti nei confronti dei governati”.
Questa responsabilità, ha detto il Papa, deve essere condivisa da tutte le nazioni ed è alla base di un ordine internazionale il cui compito è di regolare i rapporti fra i popoli e garantire la libertà, a cominciare da quella religiosa: “La fondazione delle Nazioni Unite coincise con il profondo sdegno sperimentato dall’umanità quando fu abbandonato il riferimento al significato della trascendenza e della ragione naturale, e conseguentemente furono gravemente violate la libertà e la dignità dell’uomo. Quando ciò accade, sono minacciati i fondamenti oggettivi dei valori che ispirano e governano l’ordine internazionale e sono minati alla base quei principi cogenti e inviolabili formulati e consolidati dalle Nazioni Unite”.
Secondo il Papa, non si deve tornare indietro a soluzioni di Realpolitik, a un “approccio pragmatico”, c’è certamente bisogno di “una ricerca più profonda di modi di prevenire e controllare i conflitti, esplorando ogni possibile via diplomatica e prestando attenzione e incoraggiamento anche ai più flebili segni di dialogo o di desiderio di riconciliazione”, ma il compito della comunità internazionale resta quello di vigilare che i principi della Dichiarazione universale siano applicati. “Tali diritti – ha detto il Papa riprendendo il tema della dittatura del relativismo – sono basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo e presente nelle diverse culture e civiltà”, per cui “rimuovere i diritti umani da questo contesto significherebbe restringere il loro ambito e cedere a una concezione relativistica, secondo la quale il significato e l’interpretazione dei diritti potrebbero variare e la loro universalità verrebbe negata in nome di contesti culturali, politici, sociali e religiosi differenti”.
Il Papa ha chiesto all’Onu di “raddoppiare gli sforzi di fronte alle pressioni per reinterpretare i fondamenti della Dichiarazione e di comprometterne l’intima unità”: quel testo “non può essere applicato per parti staccate, secondo tendenze o scelte selettive che corrono semplicemente il rischio di contraddire l’unità della persona umana e perciò l’indivisibilità dei diritti umani”.
La protezione dei diritti umani, ha aggiunto nell’unico riferimento ai temi eticamente sensibili come l’aborto e la manipolazione embrionale e genetica, comprende anche la difesa di quella che ha chiamato “l’autentica immagine della creazione”. Il modo in cui talvolta sono state applicate le scoperte della ricerca scientifica e tecnologica, “nonostante gli enormi benefici che l’umanità può trarne”, talvolta “rappresentano una chiara violazione dell’ordine della creazione, sino al punto in cui non soltanto viene contraddetto il carattere sacro della vita, ma la stessa persona umana e la famiglia vengono derubate della loro identità naturale”. La comunità internazionale deve “preservare l’ambiente”, “proteggere le varie forme di vita sulla terra” e “garantire un uso razionale della tecnologia e della scienza”, senza alcun bisogno di costringere a una scelta tra scienza ed etica: “Piuttosto si tratta di adottare un metodo scientifico che sia veramente rispettoso degli imperativi etici”.
19 Aprile 2008