New York. Quando Giovanni Paolo II è andato per la prima volta in Polonia, nel giugno del 1979, un editoriale del New York Times spiegò che per quanto quel viaggio fosse una cosa meravigliosa per il popolo polacco, era certo che non avrebbe avuto alcun impatto politico sul futuro dell’Europa dell’Est. Il giornale newyorchese non avrebbe potuto sbagliare in modo più grossolano, ma secondo il saggista ed esperto di cose vaticane George Weigel tra venti o venticinque anni la storia potrebbe ricordare un caso ancora più clamoroso capitato a questo Papa, a Benedetto XVI. Il caso è il suo discorso di Ratisbona, la gran lezione sul dialogo tra fede e ragione, tra cristianesimo e islam che dai giornali occidentali e in alcune piazze musulmane è stato interpretato come un attacco frontale alla religione di Maometto. Echi della lezione di Ratisbona, secondo varie fonti vicine al Vaticano, potrebbero sentirsi nel discorso di Benedetto alle Nazioni Unite di giovedì mattina. In particolare l’idea che nel XXI secolo la fede distaccata dalla ragione sia un pericolo non solo per la gente di fede, ma anche per il mondo in generale e, inoltre, che sia altrettanto pericolosa una perdita della fede nella ragione, ovvero la convinzione che l’uomo non sia capace di conoscere la verità.
C’è chi ha definito Ratisbona un errore, una gaffe, una dichiarazione di guerra, ma Raymond de Souza del National Catholic Register ha provato a dimostrare che “c’è del metodo nei cosiddetti errori di Benedetto XVI”, siano essi Ratisbona, le polemiche sul discorso alla Sapienza o il battesimo di Magdi Cristiano Allam. De Souza si aspetta qualche altra finta “gaffe” in questo viaggio americano e spiega che Joseph Ratzinger sa come influenzare i media e generare un’attenzione globale sulle cose che intende dire. L’idea prevalente, anche di eccellenti vaticanisti come l’americano John Allen, è che Benedetto sia un ex professore universitario, un teologo, un filosofo che commette errori di comunicazione perché abituato a esprimersi con un linguaggio complesso e pieno di sfumature che non regge il ciclo informativo in tempo reale e spesso porta a errate interpretazioni fino a sabotarne il senso reale. De Souza non ne è convinto e suggerisce l’ipotesi che ogni volta Benedetto intenda esattamente creare un caso, in modo da raccogliere l’attenzione sul messaggio più ampio che vuole trasmettere. Benedetto XVI, scrive De Souza, se solo volesse sarebbe perfettamente capace di parlare in modo da non creare tumulti, come nel caso della sua prima omelia papale, ma è molto abile a usare i media, anche se in modo diverso rispetto a Giovanni Paolo II. Papa Wojtyla era un maestro dell’immagine, Papa Ratzinger del ragionamento. L’editorialista del Wall Street Journal, Peggy Noonan, ha scritto che Giovanni Paolo II sapeva emozionare, mentre Benedetto XVI fa riflettere.
Weigel conferma e ricorda che Joseph Ratzinger è sempre stato noto per essere un uomo molto attento a pensare con cura prima di parlare. La sua audacia papale è certamente cercata e voluta, tanto più che la burocrazia vaticana, come tutte le burocrazie del mondo, tende quasi sempre a consigliargli maggiore prudenza.
Il nuovo dialogo interreligioso
La lezione di Ratisbona, ha detto Weigel a una conferenza dell’associazione Crossroads alla Columbia University di New York, non è stata capita da molte persone perché siamo ancora attaccati al vecchio modo di intendere il dialogo interreligioso. Benedetto XVI ha cambiato il paradigma del dibattito, passando da un modello di dialogo inefficace a una diretta e rispettosa sfida che è riuscita a rimescolare le carte e a creare la possibilità di una conversazione nuova e più profonda. Ratisbona, infatti, ha cambiato la dinamica del dialogo interreligioso e ha aperto un confronto dentro il mondo islamico, esattamente come era nelle intenzioni di Benedetto XVI. Dopo quella lezione così criticata e giudicata offensiva della sensibilità religiosa di oltre un miliardo di musulmani, si è avviato un processo che ha portato alla formazione di un forum catto-musulmano che si riunisce due volte l’anno, una ad Amman, in Giordania, e l’altra a Roma, con l’obiettivo di discutere il punto centrale del discorso di Benedetto XVI: la libertà religiosa come principale dei diritti umani, seguito dalla separazione tra lo stato e la chiesa. Weigel ha ricordato che alcune parti del mondo islamico hanno provato a sviare da questi due punti, ma il Papa ha riportato la discussione sulla libertà religiosa e sulla separazione dell’autorità spirituale da quella temporale, al punto che è successo l’impensabile, cioè che il re saudita ha proposto di ospitare un forum su questi temi e ha avviato una trattativa col Vaticano per l’apertura di una chiesa cattolica in Arabia Saudita. I cantori politicamente corretti del dialogo interreligioso non hanno compreso il significato di Ratisbona, un po’ come in quel giugno del 1979 il New York Times non aveva valutato la portata storica e politica della visita pastorale di Giovanni Paolo II in Polonia.