Camillo di Christian RoccaPetraeus, McCain, Hillary e Obama in tv

Milano. Il generale David Petraeus e l’ambasciatore Ryan Crocker, i vertici militari e civili americani in Iraq, ieri sono tornati a Washington per raccontare al Congresso e agli americani la situazione nell’ex regno di Saddam Hussein, cinque anni dopo l’invasione decisa da George W. Bush e condivisa, allora, da gran parte dei suoi oppositori del Partito democratico e dell’intellighenzia liberal di sinistra. Petraeus e Crocker hanno confermato i grandi miglioramenti sia militari sia politici avvenuti in Iraq per effetto del “surge”, cioè dell’invio di trentamila nuove truppe deciso a gennaio del 2007 dalla Casa Bianca. La situazione resta fragile, frammentaria e reversibile, anche per il ruolo “distruttivo” giocato dall’Iran, sicché per non perdere le posizioni conquistate in questi mesi i due funzionari americani hanno suggerito al presidente di ridurre entro metà luglio il numero dei soldati americani in Iraq al livello precedente il “surge”, ma subito dopo di sospendere ulteriori ritiri per almeno 45 giorni, in modo da poter fare una valutazione e un assestamento più precisi.
Dal punto di vista politico, però, l’attenzione era concentrata su altro: il generale e l’ambasciatore si sono trovati di fronte, prima davanti alla Commissione Forze Armate, poi a quella Esteri, tutti e tre i candidati alla Casa Bianca – John McCain, Hillary Clinton e Barack Obama – uno dei quali il 4 novembre prossimo sarà eletto presidente e il 20 gennaio successivo, a mezzogiorno, diventerà il comandante in capo che deciderà il futuro della missione americana in Iraq. L’effetto è stato clamoroso, a conferma della trasparenza del processo democratico americano: i due inviati in Iraq hanno discusso pubblicamente e risposto alle domande del prossimo presidente degli Stati Uniti in diretta tv.
John McCain è un sostenitore della strategia Petraeus ben prima di Bush e, un anno e mezzo fa ha scommesso il suo futuro politico sul successo del “surge”, mentre quasi tutti i suoi colleghi, in particolare i leader democratici, erano convinti che l’invio di nuove truppe non avrebbe risolto nulla, anzi che avrebbe peggiorato la situazione. La rinascita elettorale di McCain, dato per morto ancora sei mesi fa, è legata alle buone notizie provenienti dall’Iraq sulla riduzione degli attentati, sul coinvolgimento dei sunniti nel processo di ricostruzione nazionale e sulla rivolta irachena contro i jihadisti di al Qaida. McCain ha evitato di usare il suo spazio in Commissione per segnare punti politici e ha preferito fare ai due funzionari americani domande tecniche sulla situazione a Bassora e sulle capacità del governo democratico iracheno. McCain, in realtà, non aveva alcun bisogno di forzare la mano, anche perché le deposizioni di Petraeus e Crocker erano già uno straordinario spot per la sua candidatura. In ogni caso una mano gliel’ha data Joe Lieberman, il senatore indipendente del Partito democratico, ex vice di Al Gore nel 2000 e oggi grande sostenitore non solo di Petraeus, ma anche della campagna presidenziale di John McCain. Lieberman ha chiesto ai suoi colleghi del partito democratico entrati in Commissione con un pregiudizio negativo di tenere conto, almeno, del miglioramento della situazione sul campo, come spiegata in dettaglio da Petraeus e Crocker. Lieberman, inoltre, non s’è lasciato sfuggire le parole dei due funzionari americani sull’influenza distruttiva dell’Iran in Iraq. Secondo Petraeus, infatti, la situazione della sicurezza è ancora fluida, per colpa del ruolo che gioca il regime di Teheran.

Il memo riservato dei democratici
Hillary Clinton, con un tono molto più rispettoso rispetto a quello che aveva usato a settembre nei confronti di Petraeus, ha ribadito che i progressi politici in Iraq sono insoddisfacenti e i costi umani ed economici dell’impegno americano non più sopportabili. La senatrice, più che fare domande, ha scelto di spiegare perché, dopo anni di promesse, sia arrivato il momento di ritirare gradualmente i soldati e di concentrare gli sforzi in Afghanistan. Obama è sulla stessa linea, anche se un memo riservato di uno dei suoi principali advisor di politica estera svela che il senatore, se fosse eletto presidente, lascerebbe in Iraq ottantamila soldati.
I due candidati democratici possono contare sulla stanchezza dell’opinione pubblica nei confronti di una guerra mal gestita e giustificata principalmente con le armi di distruzione di massa che non sono state trovate, ma contemporaneamente rischiano di apparire poco credibili di fronte ai suggerimenti di due personaggi al di sopra di ogni sospetto come Petraeus e Crocker. Su questo punta McCain, anche perché la doppia relazione Petraeus-Crocker ha svelato come negli ultimi mesi la situazione sia migliorata, e di molto, anche rispetto a settembre, quando i due leader militari e civili si erano presentati al Congresso per una prima valutazione. Allora avevano dimostrato i successi sul fronte della sicurezza, malgrado gli scetticismi iniziali dei democratici. Obama e Hillary erano stati costretti ad ammettere i progressi, ma avevano notato come i politici iracheni non ne avessero approfittato per stringere sulla riconciliazione nazionale. Petraeus e Crocker, sette mesi dopo, hanno elencato le leggi approvate dal nuovo Parlamento, la partecipazione dei sunniti al nuovo Iraq, il cessate il fuoco di Moqtada al Sadr, i successi contro al Qaida.

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