Camillo di Christian RoccaThat's it/10

New York. “Carnegie Deli”, sulla settima avenue all’angolo con la cinquantacinquesima strada. Reso immortale da Woody Allen in “Broadway Danny Rose”, è il tempio di uno spettacolare pastrami e della più buona cheesecake di Manhattan, soffice, cremosa, umida (qui la ricetta: carnegiedeli.com/cheesecakes.html). Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga saluta il proprietario, suo amico da venticinque anni, ordina una chicken soup con golden noodles, una knish alle patate e dice di aver inviato altri 25 dollari alla campagna di Barack Obama, dopo la sua pesante sconfitta in Pennsylvania.
Già professore di Storia dell’islam alla New York University, impegnato in una solitaria battaglia contro il conformismo occidentale pro Arabia Saudita, Zerlenga ha portato con sé un mazzo di fotocopie sottolineate con tutti i più recenti discorsi del Papa, a cominciare da quello di Ratisbona. Prima di entrare nel merito teologico e di mostrare i tre volumi di Manuele il Paleologo che tiene in borsa – “Il dialogo della discordia”, “I dialoghi con un musulmano” e “I dialoghi con un persiano” – Zerlenga racconta di aver guardato la tv di Repubblica, probabilmente su Internet. “C’era Paolo Garimberti – dice Zerlenga, stupito che in Italia ci si stupisca che la politica sia locale – Ha scoperto che la Lega è radicata nel territorio, che uno dei loro senatori ha due lauree… e pure un lavoro… non ci poteva credere che questo qui il sabato e la domenica tornasse a casa…”. Zerlenga ce l’ha con Anna Finocchiaro, almeno da quando ha scoperto che era candidata non solo alla presidenza della Sicilia, ma anche al Senato in Emilia Romagna: “E’ incredibile. Se i politici fossero legati al territorio, magari tutti quegli onorevoli della Campania si sarebbero resi conto della monnezza”.
Ratisbona, però. “Mi fanno ridere tutti quelli che dicono che il Papa ha sbagliato, che si deve scusare. Ha spiegato in modo incontestabile dal punto di vista storico, filosofico e telologico la differenza tra il Dio cristiano e il Dio musulmano”. Estrae i tre libri del Paleologo e dice: “Se i tipi come Sergio Romano non conoscono la filosofia e la teologia non è colpa del Papa, semmai facciano un corso accelerato”. A Zerlenga sono piaciuti in particolare gli interventi di Benedetto XVI a Ground Zero, alle Nazioni Unite e alla comunità ebraica: “La preghiera sull’11 settembre è piena di simbolismi, parla di un luogo che è stato scenario di violenza e dolore incredibili e per le vittime invoca ‘luce e pace eterna’, al contrario della ‘darkness’ e del ‘nichilismo’ dei musulmani”.
Il Papa, dice Zerlenga, ha definito “innocenti” le vittime che si trovavano a lavorare e a prestare servizio in questo luogo: “Invece il ministro della Difesa saudita, come c’è scritto nel nuovo libro di Douglas Feith, subito dopo l’11 settembre ha detto a Rumsfeld che erano stati gli ebrei ad attaccare le Torri… Vedremo mai il re saudita venire a New York, inginocchiarsi a Ground Zero e chiedere scusa?”.
La risposta è autoevidente e Zerlenga preferisce sottolineare come il Papa in pochi giorni abbia capito l’America “meglio di molti inviati italiani che stanno qui da trent’anni”. La digressione ci sta: “Si lamentano che in America ci sono così tanti prigionieri nelle carceri, ma non si rendono conto che l’altra faccia della libertà assoluta americana è la responsabilità: sei libero di fare quello che vuoi, ma devi rispettare le leggi”.
Zerlenga invita a non avere paura dei musulmani, “bisogna conoscerli”, purtroppo “dopo l’11 settembre ci siamo creati un islam di fantasia che non esiste: ‘Fitna’, per esempio, il film di Geert Wilders, andrebbe visto, non censurato. Barbara Spinelli dice che è un’operazione anti islam, ma non sa dire se il contenuto è falso. Anzi c’è stato un fondamentalista islamico che ha detto: ‘Aggiustato un po’, potrebbe essere una buona propaganda per noi’. That’s it”.

X