Milano. Un anno fa la Cia aveva avvertito che la minaccia di al Qaida era crescente e particolarmente pericolosa per la sicurezza degli Stati Uniti. Giovedì, in un’intervista al Washington Post che ieri ha fatto il giro dei giornali americani, il direttore della Cia, Michael Hayden, ha detto che al Qaida in Iraq è praticamente sconfitta, mentre nel resto del mondo islamico, compresa la zona al confine tra l’Afghanistan e il Pakistan, è sulla difensiva. Il network terrorista, ha aggiunto il capo della Cia, oggi è anche costretto ad affrontare una forte opposizione ideologica interna. Al Qaida ovviamente non è morta: “La minaccia resta grave”, ha detto Hayden. Lo confermano un rapporto dell’istituto di ricerca sul medioriente Memri e lo scoop dell’Abc secondo cui ci sono stati colloqui tra il regime iraniano e al Qaida. Ma Bin Laden sta perdendo la battaglia “per il cuore e la mente” del mondo islamico.
Secondo la Cia, al Qaida non riesce a sfruttare la guerra irachena per arruolare nuovi adepti e potenziali terroristi, al contrario di quanto si continua a ripetere in occidente. Due anni fa, in verità, era stata la stessa Cia a dire che l’invasione irachena era diventata un grande spot pubblicitario per al Qaida. Non è più così, dice la Cia. E non lo dice soltanto la comunità d’intelligence americana, ma anche una serie di esperti indipendenti e un paio di recentissime inchieste giornalistiche pubblicate su riviste liberal. I numeri di questa settimana del New Yorker e di New Republic si aprono con due lunghissimi articoli che segnalano con precisione le difficoltà odierne di al Qaida. Peter Bergen e Paul Cruickshank, due dei più grandi esperti di al Qaida in America, hanno raccontato la rivolta dei jihadisti contro Bin Laden e il crollo di consenso nel mondo islamico nei suoi confronti. Numerosi leader religiosi ed ex capi di al Qaida, pur restando fedeli all’islam radicale, hanno ripudiato i metodi sanguinari di Bin Laden e cominciato a spiegare che quella indicata dallo sceicco saudita non è la strada verso il paradiso. Sul New Yorker, il premio Pulitzer Lawrence Wright per il libro “Le altissime torri” ha raccontato, in un articolo dal titolo “La ribellione interna”, la storia di uno dei co-fondatori e ideologi di al Qaida, Dr. Fadl, che da un carcere egiziano predica la dissociazione e il rifiuto della violenza. Allo stesso tempo, però, il Guardian di Londra ha riportato l’opinione del capo della polizia in Irlanda del Nord, Hugh Orde, secondo il quale sarebbe arrivato il momento di negoziare con i leader di al Qaida per convincerli a porre fine alla violenza, sulla scorta dell’esperienza nordirlandese. Il capo della Cia è di diverso avviso: “Tutto sommato, stiamo facendo molto bene”, dice, aggiungendo però che il grande errore che oggi l’America potrebbe fare è quello di tornare a sottovalutare il nemico come prima dell’11 settembre. Hayden non ha spiegato che cosa abbia provocato la ritirata di al Qaida, ma rispetto all’anno scorso, quando i guerrasantieri regnavano su un terzo dell’Iraq ed erano pronti a far scoppiare la guerra civile, è cambiata una sola cosa: la strategia americana in Iraq. Un anno fa, infatti, sono arrivati a Baghdad i trentamila uomini in più previsti dal “surge” guidato dal generale David H. Petraeus. La nuova dottrina ha aiutato le tribù sunnite a liberarsi di al Qaida, a fidarsi degli americani e a rientrare nel processo democratico. Il portavoce della forza multinazionale in Iraq, Patrick Driscoll, ha dichiarato che lui non dirà mai che al Qaida è stata sconfitta definitivamente, ma ha confermato che “non è mai stata così vicina alla sconfitta come adesso”. Dall’inizio del surge, in Iraq gli attentati sono diminuiti del 70 per cento. Le reazioni sono attente, ma anche dal fronte pro guerra al terrorismo si invita a non festeggiare anzitempo perché spesso i rapporti della Cia sono poco affidabili e contradditori. Sull’Iran, per esempio, si sono registrati vari cambi d’opinione a proposito delle sue capacità nucleari. Il capo della Cia ha detto che i progressi in Iraq sono ostacolati dall’interferenza degli iraniani che inviano armi e forniscono addestramento e assistenza finanziaria alle milizie antiamericane: “Il governo iraniano ha una politica precisa, approvata ai più alti livelli, quella di facilitare l’uccisione in Iraq di americani e di altre forze della coalizione. Punto”.
31 Maggio 2008