New York. “Barack Obama è il candidato clintoniano, mentre Hillary è il candidato post clintoniano”, spiega Paul Berman, intellettuale di sinistra, professore di giornalismo alla NYU, autore di “Terrore e Liberalismo” e storico della generazione del Sessantotto. “Per certi versi Obama e i Clinton sono simili – dice Berman – I Clinton hanno frequentato le scuole d’élite, Wellesley, Yale, Georgetown, poi hanno preso la decisione di coppia di entrare in politica, andando nell’Arkansas di Bill. Lì hanno subito capito di avere un grande problema, lo stesso che ha oggi Obama”. Berman è “molto entusiasta di Obama” e considera la sua candidatura un “punto di svolta”, ma solo riguardo “alla realtà delle relazioni razziali americane”. Secondo Berman, “il simbolismo di un presidente nero sarà di importanza enorme e irreversibile”, anzi già adesso il successo obamiano “è estremamente commovente e importante”.
Berman invita però a non esagerare il peso della questione razziale: “I veri razzisti stanno in gran parte nell’estrema destra e non voterebbero comunque un democratico. E’ vero che esiste un razzismo più subdolo, ma l’America è un paese che da anni ha Colin Powell e Condi Rice in posizioni di vero potere militare e civile, un paese dove la gente di colore fa parte della squadra di governo. E’ una cosa che la sinistra avrà sempre difficoltà a riconoscere, perché è merito dei repubblicani e dei Bush”.
Il fenomeno Obama, secondo Berman, corre il rischio di incappare in un’altra ingenuità, quella di esagerare l’importanza e l’impatto dei giovani e degli studenti: “I democratici ripetono spesso questo errore, lo hanno fatto con Howard Dean, con Gary Hart e nel 1968 con Eugene McCarthy, quando per la prima volta gli studenti si sono mobilitati come una vera forza politica”. Secondo Berman, questa mobilitazione studentesca, per quanto centrale nella campagna di Obama, porta con sé parecchi pericoli, perché “una larga parte del paese non sopporta l’attivismo degli studenti universitari, specie quello di chi si considera moralmente superiore”. Berman non fa previsioni, riconosce che Obama è un politico molto abile, ma crede che Hillary abbia molte più possibilità di battere John McCain (“l’unico dei tre, peraltro, che dice la verità sull’Iraq”).
Uno dei motivi pro Hillary, secondo Berman, è che la senatrice capisce questi problemi e ha già affrontato queste difficoltà. Anche i Clinton sono il prodotto del movimento studentesco, quello del 1968 di McCarthy, ma quando hanno cominciato a far politica si sono accorti che, specie al sud, non si può essere eletti mostrandosi come gli eredi di quell’élite universitaria: “L’intera carriera politica di Bill è centrata su questo punto, così come quella di Hillary, entrambi si sforzano da anni di mostrarsi vicini alla gente, di essere populisti e non membri dell’élite. E’ un processo lungo e lento, e il paradosso è che Hillary è riuscita ad accreditarsi come la candidata della working class soltanto in queste primarie”.
Obama, secondo Berman, è nella stessa situazione: “Anche lui proviene dall’élite intellettuale del nord-est, da Harvard e poi dal quartiere liberal e universitario di Chicago, Hyde Park. Ma a differenza di Hillary ha appena cominciato il percorso e malgrado dica di sapere che cosa dovrà affrontare nei prossimi mesi, sospetto che non lo sappia”.
Berman sta terminando il suo nuovo libro “The Flight of the Intellectuals”, in uscita ad autunno e centrato sul lungo saggio su Tariq Ramadan già pubblicato da New Republic e dal Foglio l’anno scorso: “Le elezioni si decidono su due cose – dice – chi è il candidato più tosto e chi è il candidato della gente. Obama sarà attaccato come il candidato debole ed elitario”. Berman teme che “Obama non riconoscerà gli attacchi, perché spesso arrivano in modo disonesto, con accuse false e bizzarre, come per esempio quella di essere un estremista di sinistra, un islamico, un terrorista”. Sono diffamazioni, spiega Berman, “ma questi attacchi contengono un messaggio nascosto che Obama sembra non capire: è lui il candidato debole ed elitario”. La vicenda di Jeremiah Wright, secondo Berman, “è stato un errore spettacolare”, non solo per le cose dette dal reverendo, ma perché Obama non ha avuto la prontezza di rispondere e si è fatto bastonare per tre giorni in tv: “Il modo di dimostrare che sei tosto non è dirlo né ricordare che lo sei stato 40 anni fa in Vientnam, come ha fatto John Kerry e come farà McCain, il modo di mostrarlo è farlo in real time, di fronte al pubblico”.
Berman si preoccupa inoltre che Obama possa interpretare gli attacchi che riceverà come razzisti: “Se McCain volesse fare una mossa furba, dovrebbe lanciare attacchi che possano convincere Obama a pensare che siano razzisti. Se Obama rispondesse accusando l’avversario di essere razzista, cadrebbe nella trappola di autodefinirsi elitario, perché il problema dell’élite è come sempre quello di credersi superiore alle masse”.
Berman crede inoltre che riguardo al ruolo dell’America nel mondo, Obama non rappresenti “niente di tremendamente nuovo, perché sarà un presidente nella tradizione di Clinton, piena di clintoniani e con la stessa e identica confusione dell’era clintoniana sulla politica estera”. Bill Clinton è stato sia idealista sia realista, incapace di elaborare una dottrina coesa e convincente, spiega Berman, e anche Obama sembra in balia della stessa “confusione intellettuale del Partito democratico”. Obama, ricorda Berman, ha detto di essere un nemico dei genocidi, facendo intendere che non sosterrà una politica estera strettamente realista, ma allo stesso tempo vuole incontrare i nemici, quindi rinunciando alla promozione della democrazia: “Molte delle cose che dice non mi piacciono – continua – ma so anche che si tratta di campagna elettorale. Non so quanto Obama capisca di questi temi, ma da presidente deluderà i suoi sostenitori e non sarà selvaggiamente irresponsabile, visto che è circondato da gente seria e preparata. Sappiamo tutti che Obama sa di non poter mantenere la promessa di far finire la guerra in Iraq e di riportare le truppe a casa. Sappiamo anche che lui sa di non poter incontrare Ahmadinejad. Sotto quest’aspetto sta conducendo una campagna mendace, una campagna alla Nixon, ma al contrario. Nel 1968 Nixon diceva di avere un piano segreto per porre fine alla guerra in Vietnam, ora Obama ha un piano segreto per continuare la guerra in Iraq”.
Christian Rocca
14 Maggio 2008