Camillo di Christian RoccaObama e McCain sull'Iran

New York. I primi cenni di campagna presidenziale tra il repubblicano John McCain e il democratico Barack Obama – sempre che il senatore nero dell’Illinois riesca a ottenere la nomination contro Hillary Clinton – sono rivolti alla politica iraniana che il prossimo presidente degli Stati Uniti sarà costretto a elaborare per evitare che gli ayatollah si dotino della bomba nucleare. L’Iraq è in fase di miglioramento, quindi in secondo piano. Al di là della retorica e dei toni diversi, i piani di Obama e le proposte di McCain (e Hillary) prevedono che almeno fino al 2012 in Iraq dovranno rimanere circa 75 mila soldati americani. La nuova politica su Cuba non eccita gli animi, se non nella comunità di Miami. Nemmeno l’endorsement (con riserva) di Fidel Castro a Obama ha provocato polemiche, anche perché il senatore ha dichiarato di essere pronto a incontrare i Castro, interrompendo una tradizione avviata da John Fitzgerald Kennedy, ma anche di non voler togliere l’embargo economico all’isola.
La svolta aperturista di John McCain sulla Russia (ora è pronto a discutere con Mosca un nuovo Trattato contro la proliferazione nucleare) non supera i confini del dibattito accademico. Il punto di interesse è solo l’Iran, ora che anche l’Agenzia atomica dell’Onu di Mohamed ElBaradei sostiene che Teheran prenda in giro la comunità internazionale e proceda spedito verso il nucleare militare. La linea di McCain è piuttosto ferma, centrata sul principio secondo cui “peggio di un intervento armato in Iran c’è solo un Iran dotato di armi nucleari”. Una strategia precisa però non c’è, un po’ come non ne ha una ben definita l’Amministrazione Bush che parla di cambio di regime, ma che da anni incontra i rappresentanti degli ayatollah prima riservatamente in Svizzera, poi apertamente a Baghdad.
Obama propone una svolta diplomatica dai contorni non ancora delineati e decisamente contraddittoria visto che dopo aver ricevuto un altro imbarazzante endorsement dal portavoce di Hamas ha detto senza esitazioni che con Hamas e Hezbollah invece non si parla, perché sono organizzazioni terroristiche. Eppure è pronto a incontrare senza precondizioni il presidente iraniano, rifacendosi alla tradizione di incontri col nemico tenuti da presidenti americani del passato. Hillary Clinton ha detto che si tratta di una posizione “pericolosa e ingenua”, ma nel corso dei mesi Obama ha mantenuto l’impegno, ribadendolo in più occasioni e modificandolo fino a dire che “senza precondizioni” non vuol dire che non ci dovranno essere incontri preparatori a più basso livello. Significa, dice Obama, che non si deve subordinare l’incontro diplomatico alla rinuncia al nucleare, semmai quello sarà il tema dell’incontro. L’idea è che la dottrina Bush-McCain sul cambio di regime sia controproducente, oltre che illogica, perché chiede agli ayatollah di rinunciare alla bomba e, una volta che l’avranno fatto, di prepararsi comunque alla pronta destituzione. Il risultato – ha scritto il senatore Joe Biden – è che l’Iran ha accelerato la corsa ad arricchire l’uranio: “Invece che sul cambio di regime, dovremmo concentrarci sul cambiamento di comportamenti”.
L’iraniano Amir Taheri ha spiegato in un articolo uscito ieri sul Wall Street Journal perché il dialogo con l’Iran non funziona, non da oggi, ma da trent’anni. Il motivo è la crisi di identità della Repubblica islamica, incapace di capire se deve comportarsi come un normale stato-nazione o come forza rivoluzionaria con pretese messianiche. Ahmadinejad crede davvero nel dodicesimo Imam che prima o poi arriverà a conquistare il mondo ed è sinceramente interessato a cambiare il destino dell’umanità, più che essere allettato dalla proposta obamiana di entrare nella Wto. Anzi crede che la Wto sia “un nido di cospirazioni sioniste e americane”. Il mese scorso, a Teheran, c’è stato un convegno internazionale dal titolo “un mondo senza l’America”. Condi Rice, ha ricordato Taheri, due anni fa ha già offerto l’avvio di una trattativa senza condizioni, ma non ha mai ricevuto risposta. Semmai l’ayatollah Ali Khamenei dice: “Non avete niente da dirci. Siamo diversi. Non siamo favorevoli ad avere una relazione con voi”.

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