New York. “Ted’s Montana Grill” sulla cinquantunesima, all’angolo con la sesta avenue, a un passo dalle meraviglie Art Deco del Radio City Music Hall. Ted è Ted Turner, già proprietario della Cnn, del cuore di Jane Fonda e ora dei pascoli di mezzo Montana. Ogni tavolo del suo ristorante western ha una targhetta di ottone con una citazione. Franco Zerlenga, pensatore newyorchese, esperto di islam ed elettore di Barack Obama, si siede sotto a John Wayne che dice “talk low, talk slow and don’t say too much”, parla piano, parla lento e non dire troppo. Non è il caso di Zerlenga, il quale ordina un filetto di bisonte di Kansas City, un piatto di broccoli, una diet coke, un cappuccino decaffeinato e mezzo Kahlua Fudge Brownie, qualunque cosa esso sia, con gelato alla vaniglia e cioccolato caldo fuso.
Poi parla a voce alta, velocemente e tantissimo di Obama, con un’incursione sull’islam che è il caso di riportare subito: “Nel mondo islamico il concetto di amicizia non esiste, o si è brother o si è nemici, l’amicizia è un concetto occidentale”. Il riallacciamento con Obama avviene attraverso un’altra rivelazione: “In arabo la parola ‘negro’ non c’è, usano la parola ‘schiavo’ per dire negro”.
La sua tesi sulle recenti peripezie di Obama è questa: il reverendo Jeremiah Wright, ovvero il suo ventennale pastore e consigliere spirituale che all’inizio della settimana ha ribadito le accuse al governo americano di aver creato l’Aids per sterminare i neri e costretto il candidato democratico a ripudiarlo per non compromettere la sua campagna presidenziale, “vuole distruggere Obama per salvare se stesso”. That’s it. Se Obama vincerà le elezioni, dice Zerlenga, il movimento di Wright sarà “wiped out”, spazzato via, tutta la sua retorica sul “white government” cattivo e razzista non avrebbe più alcuna presa. Le cose che dice Wright non sono estemporanee, spiega Zerlenga, il reverendo fa parte di un movimento che ha radici storiche profonde nella storia degli Stati Uniti: “Una parte dei negri d’America non crede di essere stata emancipata da Abramo Lincoln, ma pensa che solo Gesù Cristo sia il loro liberatore”.
I neri alla Wright, dice Zerlenga, non vanno confusi con i pur arrabbiati eredi del movimento dei diritti civili, come Jesse Jackson e Al Sharpton. Si trovano nelle chiese nere, “black church”, ma non in tutte, e possono contare su professori universitari neri, “black scholar”, e considerano “un’offesa la sola idea che un bianco gli abbia dato la libertà”. L’imbarazzo di Obama è proprio quello di non riuscire a spiegare come sia possibile conciliare lo status di primo leader post razziale con la sua ventennale associazione con Jeremiah Wright. “La bellezza del processo democratico americano è proprio questa – ha detto Zerlenga – di togliere il marcio, di far venire fuori le cose, la democrazia is not for sissies, non è per femminucce”. Qui arriva una botta a uno dei bersagli preferiti di Zerlenga: “Per esempio, perché durante la campagna elettorale italiana nessuno ha chiesto conto a D’Alema del suo antisionismo?”.
Wright, che è cristiano, ora è scortato da guardie del corpo della Nation of islam, ma Zerlenga spiega che l’islam degli afroamericani è diverso dal vero islam, per esempio l’apostasia non è condannata: “La conversione al cristianesimo è permessa, perché in fondo questo è un islam indigeno, nato in America, influenzato anche in queste frange estremiste dai principi della libertà religiosa americana. Il loro leader Louis Farrakhan – conclude l’ex professore della NYU – è un grande violinista”. Una cosa inimmaginabile per un capo islamista mediorientale. (chr.ro)
3 Maggio 2008