Camillo di Christian RoccaThat's it/12

New York. “Oyster bar”, il tempio delle ostriche che si trova al piano inferiore della Grand Central Station, quindi sotto il livello del mare, fin dal 1913. Franco Zerlenga, pensatore newyorchese e studioso dell’islam, ordina una Manhattan claw chowder (corposa zuppa di pesce e patate), Little neck clams (dodici vongole giganti) e come dessert Rice pudding (soltanto uno). Zerlenga è felice come una Pasqua per “l’almost there” di Barack Obama, ma la sua principale preoccupazione di questi giorni è trovare qualcuno che lo aiuti a tradurre in italiano gli otto volumi, diventati quattro in una recente edizione Le Monnier, della “Storia dei musulmani in Sicilia” di Michele Amari scritta originariamente in siciliano dotto e arcaico.
Secondo Zerlenga, quel testo ottocentesco è il miglior manuale esistente per conoscere in modo preciso, senza averne paura, la filosofia politica ed espansionista dei musulmani. Zerlenga lo consiglia in particolare ad Antonio Ferrari del Corriere, il quale deve aver detto in un video postato sul sito del quotidiano milanese (Zerlenga è l’unico essere vivente a seguire con puntualità sia la tv online del Corriere sia quella di Repubblica) che Tariq Ramadan è un intellettuale musulmano. “E’ un ossimoro – spiega Zerlenga – musulmano e intellettuale sono due parole che non possono stare insieme, perlomeno dal XI secolo, quando i musulmani decisero che l’innovazione sarebbe stata un crimine”.
Nell’islam, continua il prof, “non esiste la figura dell’intellettuale, che è un concetto occidentale, esiste quella dello studioso e dell’esperto coranico, del cleric, nessuno dei quali svolge il ruolo dell’intellettuale che cerca, ricerca e mette in discussione”. Zerlenga non vuole addentrarsi in dotte speculazioni filosofiche, anche se cita sia Avicenna sia Averroè, ma ricorda che il paradosso di tutta questa storia è che andando indietro nei secoli si scopre che “il libero pensiero è stato fondato dall’islam”.
Ramadan, dunque, secondo il pensatore newyorchese non è affatto un intellettuale, ma “un propagandista islamico”. Anche se Ramadan non lo dice apertamente, ma Zerlenga è pronto a dimostrare che dietro ogni sua frase detta ci sia questa semplice verità, il suo pensiero, sorry la sua propaganda, è la seguente: “L’islam è superiore, voi siete la darkness, le tenebre, e ci dovete accettare in quanto minoranza, ma sappiate che prima o poi noi diventiamo maggioranza”. Il discorso cade sulla Fiera di Torino. “Gli intellettuali occidentali ci cascano perché non conoscono l’islam” – da qui l’urgenza di trovare traduttore ed editore per i volumi di Michele Amari – “non si accorgono della takiya”, la dissimulazione delle proprie idee, “rifiutano di conoscere la natura del nemico perché questa natura è così ripugnante che è meglio non vederla”. Zerlenga cita Umberto Eco (“patetico, è evidente che non ha mai letto il Corano”), poi Massimo D’Alema e Gianni Vattimo: “Sono codardi”, è l’incipit che non va per il sottile. “Criticano Stati Uniti e Israele, tanto sanno che da queste due democrazie non riceveranno alcuna ritorsione, negli Stati Uniti bruciare la bandiera americana è addirittura un diritto costituzionale”. A Vattimo, cioè “al filosofo del pensiero nullo”, Zerlenga ricorda che “le gay parade sono stati inventati negli Stati Uniti e sfilano per le strade americane e israeliane”, mentre “a Riad, in Arabia Saudita, c’è la chop-chop square, la piazza dove tutti i venerdì mattina si tagliano sbrigativamente le teste”. That’s it. (chr.ro)