Camillo di Christian RoccaBobby Jindal, la risposta conservatrice a Obama

New York. “Le elezioni generali cominciano stasera”, ha detto nella notte italiana di martedì John McCain in prime time e in diretta televisiva da New Orleans, poco prima che a Manhattan prendesse la parola Hillary Clinton e a St. Paul, in Minnesota, salisse sul palco il vincitore delle primarie democratiche Barack Obama. Il candidato repubblicano ha anticipato i temi della sua campagna  di novembre contro Obama e in particolare, dopo aver fatto grandi complimenti a Hillary, ha fatto intuire che proverà a conquistare quel terzo di elettori clintoniani che, ancora ieri, col voto in Dakota del sud e negli exit poll, ha ripetuto che a novembre non se la sentirà di votare Obama.
A nessuno è sfuggito, però, un particolare. McCain si è fatto introdurre dal popolare governatore della Louisiana Bobby Jindal, l’astro nascente del movimento conservatore. Trentasette anni da compiere martedì prossimo, Jindal è la risposta repubblicana a Barack Obama. E, secondo numerosi analisti, anche il perfetto candidato vicepresidente di McCain. I giornali, ieri, hanno scritto che la mossa di McCain serviva proprio a presentare Jindal al grande pubblico, un’investitura nazionale per una coppia presidenziale che potrebbe essere formata dal candidato anziano alla Casa Bianca e da un suo vice giovanissimo. Jindal, dicono i suoi sostenitori, ha tutto quello che manca a McCain: gioventù, esperienza di governo, rapporti con la destra religiosa, credibilità nella Right Nation.

La conversione al liceo
Jindal è di origini indiane, figlio di immigrati del Punjab trasferitisi in America poco prima che nascesse. Il suo vero nome è Piyush, ma a quattro anni ha cominciato a farsi chiamare Bobby (così come Barack si faceva chiamare Barry). Di religione hindu, Jindal si è convertito al cattolicesimo ai tempi del liceo ed è diventato devotissimo: “La fede mi dice di donare il cento per cento di me stesso a Dio”, ha detto. Non ha lo star power di Obama, anche perché essere un politico indiano d’India non colpisce le viscere della società americana come la candidatura alla Casa Bianca di un nero.
Jindal, come Obama, è intelligente, colto, capace di parlare dritto al cuore ed è considerato un ragazzo prodigio. Laureato con lode in Biologia e Politiche pubbliche alla Brown University, Jindal è stato Rhodes Scholar a Oxford, dove ha preso il master in Scienze politiche. Consulente alla McKinsey & Company, a 25 anni è diventato segretario alla Sanità in Louisiana, portando in tre anni il Medicare locale dalla bancarotta a un surplus di 220 milioni di dollari. Nel 1999 è diventato presidente dell’Università della Louisiana e nel 2001 George W. Bush l’ha nominato numero tre al dipartimento della Sanità della sua Amministrazione. Nel 2003 Jindal s’è candidato per la prima volta a governatore della Louisiana, perdendo d’un soffio contro Kathleen Blanco. Eletto due volte, la seconda con l’88 per cento, deputato a Washington, Jindal è diventato nel 2007 il più giovane governatore della storia d’America, sconfiggendo la governatrice uscente, considerata ancora più dei repubblicani di George W. Bush la prima responsabile del disastro creato dall’uragano Katrina.
Jindal ha il curriculum perfetto per soddisfare la base conservatrice del Partito repubblicano, ancora scettica di fronte alle posizioni eretiche di McCain. Anti abortista al cento per cento, contrario alla ricerca sulle staminali embrionali, favorevole all’insegnamento a scuola del disegno intelligente, contrario all’eccessiva spesa pubblica, Jindal ha il consenso massimo sia del Comitato nazionale per il diritto alla vita, sia dell’associazione dei proprietari d’armi d’America, al punto che secondo il New York Times forse è fin troppo conservatore per McCain.
Da governatore Jindal s’è battuto per dare incentivi fiscali alle famiglie che decidono di mandare i figli alle scuole private, mentre da deputato ha votato per il Patriot Act, per le commissioni militari di Guantanamo e ha firmato l’emendamento costituzionale che nega il diritto di bruciare la bandiera americana.
Numerosi conservatori sociali come il conduttore radiofonico Rush Limbaugh, l’editorialista di National Review Ramesh Ponnuru e i leader della Jesus Machine James Dobson e Tony Perkins lo sponsorizzano da tempo e sperano che McCain lo scelga come vicepresidente. Il guru anti tasse Grover Norquist è personalmente impegnato a favore della candidatura di Jindal, anche perché il governatore ha firmato l’impegno solenne del suo Americans for Tax Reform a non aumentare mai le imposte. Il neoconservatore Bill Kristol, direttore del Weekly Standard, a febbraio aveva detto al Foglio che Jindal gli sembrava troppo giovane e inesperto per il posto da vicepresidente, ma a maggio in un editoriale sul New York Times ha proposto il ticket McCain-Jindal e da allora il governatore della Louisiana è entrato nella lista ristretta dei candidati vicepresidente stilata da tutti i giornali.
McCain lo adora, due weekend fa lo ha invitato al suo ranch in Arizona, insieme con altri possibili candidati vicepresidente, il governatore del Minnesota Tim Pawlenty, il governatore della Florida Charlie Crist e l’ex governatore del Massachusetts nonché ex candidato alla Casa Bianca Mitt Romney.
McCain non ha ancora scelto quale strada seguire e non è detto che prenda quella più facile, cioè quella di nominare un vice che piaccia alla base conservatrice, qualcuno giovane, con esperienza di governo e di fidata competenza sui temi economici e di politica interna. Da McCain ci si può aspettare anche una scelta fuori dagli schemi, ovvero che scelga qualcuno simile a lui, un candidato che esalti le sue caratteristiche da indipendente, qualcuno come il senatore democratico Joe Lieberman o come il sindaco di New York Mike Bloomberg, persone capaci di poter affrontare con maggiore efficacia la straordinaria ondata di cambiamento creata e cavalcata da Barack Obama.

La base conservatrice galvanizzata
Nel primo caso, Jindal sarebbe in prima fila, sebbene provenga da uno stato già saldamente repubblicano e non possa aiutare McCain a vincere negli stati in bilico come la Florida (al contrario di Crist), come il Minnesota (al contrario di Pawlenty), come l’Ohio (al contrario dell’ex deputato Rob Portman). Jindal, però, sarebbe capace di galvanizzare la base conservatrice, perché sa parlare alla destra religiosa e conosce il sud. Inoltre consentirebbe a McCain di concentrare la sua campagna negli stati più moderati. Se McCain dovesse scegliere un altro candidato alla vicepresidenza, alla convention di St. Paul/Minneapolis di inizio settembre Jindal avrebbe comunque lo stesso ruolo che Obama ha avuto nel 2004 alla convention democratica di Boston, quella del “keynote speaker”, il volto nuovo e l’immagine futura del partito in vista delle elezioni 2012 o 2016.
Intanto ieri mattina, alla Cnn, Bobby Jindal ha cominciato la campagna anti Obama per conto del candidato repubblicano John McCain: “Non c’è dubbio che Obama parli meglio di qualsiasi altro politico abbia mai sentito, ma gli elettori avranno di fronte una vera scelta: Obama parla molto, molto bene di cambiamento, ma la differenza con McCain è che McCain ha davvero impiegato la sua vita a portare il cambiamento”. Jindal ha ribadito il concetto, ricordando che “stiamo entrando in una fase in cui gli elettori cominceranno a chiedersi dov’è la ciccia, dov’è la sostanza, andiamo oltre i discorsi, guardiamo i dettagli”.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter