Camillo di Christian RoccaLa strategia di McCain per sconfiggere Obama (e i dubbi)

New York. Le parole di Bill Kristol, direttore del Weekly Standard e opinionista del New York Times, esprimono il diffuso disagio del mondo conservatore nei confronti della campagna presidenziale di John McCain, specie se paragonata alla geometrica potenza di tutto ciò che riguarda Barack Obama: “Quasi ogni repubblicano con cui ho parlato è allarmato dal fatto che la campagna di McCain non sembra all’altezza del compito di eleggere John McCain presidente”. Il problema non è il senatore dell’Arizona, ma la sua squadra, il suo staff, la sua disorganizzazione. La sua campagna non ha sfruttato i quattro mesi di vantaggio rispetto ai democratici, anzi, dopo l’intensa battaglia con Hillary Clinton, ora Obama ha una struttura organizzativa rodata e capillare in tutti e 50 gli stati americani. New York Times e Washington Post aggiungono che la destra religiosa e l’elettorato evangelico continuano ad avere dubbi su McCain, malgrado mesi di grande corteggiamento. E soltanto l’8 per cento dei grandi donatori di Bush, cinquemila su 62.800, ha aiutato finanziariamente McCain. “Tutto ciò è molto McCain”, spiegano i suoi sostenitori ricordando che il senatore dell’Arizona è noto per dare il meglio di sé quando sembra aver già perso tutto.
L’analista Michael Barone è ottimista. Il suo ragionamento, basato su sondaggi e flussi elettorali, è il seguente: a novembre i democratici stravinceranno al Congresso, ma per la Casa Bianca la partita è un’altra. McCain e Obama sono percentualmente appaiati, ma i presidenti si eleggono stato per stato e al raggiungimento della quota di 270 grandi elettori. In questo caso i sondaggi segnalano che McCain è in vantaggio in 29 stati con 281 grandi elettori, contro i 28 di Obama con 257 grandi elettori.
Il manager della campagna elettorale di McCain, Rick Davis, riconosce che la situazione è pessima per il suo candidato, “una delle peggiori nella storia del nostro partito”, ma è convinto che le probabilità di vittoria restano altissime. E per dimostrarlo ha inviato a leader conservatori, finanziatori e giornalisti uno “strategy briefing” con i dettagli della riorganizzazione della campagna, decentralizzata in undici zone, più snella e rivitalizzata da una capacità di raccolta fondi che ormai è competitiva con quella di Obama.
E’ vero, dice Davis, che gli elettori sono insoddisfatti dell’attuale Amministrazione Bush, ma gli stessi sondaggi dimostrato che McCain è il candidato con il più alto indice di gradimento (60 per cento, contro il 54 di Obama). Non solo. Gli elettori credono che l’ideologia di McCain sia più vicina alla propria, mentre considerano quella di Obama molto più liberal e di sinistra. Un altro dato fornito da Davis fa intuire le prossime mosse di McCain, a cominciare dalla scelta del vicepresidente. McCain, spiega il suo stratega, prenderà l’87 per cento dei voti conservatori, perdendone l’8 per cento in direzione Obama. Ma, dall’altra parte, i sondaggi svelano che Obama conquisterà l’80 per cento dei voti democratici, perdendo il 13 per cento della sua base a favore di McCain. Gli indipendenti, invece, sono divisi a metà (44 a 44) tra i due candidati. L’idea, secondo Rick Davis, è quella di puntare sugli indipendenti e sui voti clintoniani: “Non è più possibile per un repubblicano vincere puntando esclusivamente sulla base conservatrice” e McCain è il più attrezzato per questo compito. I sondaggi mostrano McCain più affidabile di Obama su immigrazione, terrorismo e spesa pubblica, mentre Obama è preferito su Iraq, sanità e ambiente. La battaglia è sulla economia, come dimostrano in questi giorni le continue iniziative dei due candidati. Lo stratega di McCain è convinto che la mappa elettorale favorisca il suo candidato, il quale ha grandi opportunità di vincere in stati democratici. Oggi, secondo i sondaggi, McCain avrebbe in tasca 153 grandi elettori, più altri 102 meno sicuri, per un totale di 255. Obama ne ha quasi certi 142, più 66 probabili. I grandi elettori in bilico sono 74, McCain deve conquistarne 15 per diventare presidente.

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