New York. “The Modern” è il cafè del Museum of Modern Art (Moma), sulla 53esima strada tra la sesta e la quinta avenue. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga spiega filosoficamente di aver raggiunto nella sua vita la pace interiore. Voleva essere libero e c’è riuscito, al punto che appena alla New York University, dove insegnava Storia dell’islam, gli hanno più o meno imposto di iscriversi alle Union, ai sindacati, ha preso carta e penna per dire arrivederci. Al Modern ordina un’insalata al limone e pistacchio siciliano e una confit d’anatra al pepe giapponese shishito con frutta della passione e succo naturale. Da bere, birra analcolica.
Come sempre, parte a raffica sulla situazione italiana, per lui sempre più incredibile, e la paragona agli Stati Uniti: “Mi fa ridere che i democratici italiani facciano una gran battaglia per impedire il blocco delle intercettazioni, quando invece i democratici americani sono impegnati ad accusare Bush di limitare le nostre libertà perché vuole usare le intercettazioni contro il terrorismo. Sarebbero questi i nostri difensori della libertà?”. Zerlenga, tra l’altro, dice che “bisogna essere fair, corretti, con Bush: è vero che siamo in guerra e infatti i democratici l’hanno riconosciuto, approvando una legge antiterrosimo: la democrazia è flessibilità”.
Non manca la stoccata a Paolo Garimberti, a cui consigliamo vivamente di abbandonare al più presto gli studi di Repubblica tv: “Garimberti ha paragonato l’esperienza senatoriale di John McCain a quella di Lyndon Johnson, ma come si fa? Johnson era un leader, guidava i senatori in modo incredibile e Kennedy se lo prese come vicepresidente in modo da poter contare sul sostegno del Senato, visto che Johnson ci sapeva fare. McCain invece è l’esatto opposto, un bastian contrario di professione, uno che prova gusto a mettersi contro la posizione dominante, anche del suo partito, non potrebbe mai diventare leader del Senato”.
Zerlenga, poi, non capisce di che cosa si lamenti la sinistra italiana: “Le elezioni hanno conseguenze. E in democrazia si accettano”. Se Walter Veltroni fosse il segretario di “un vero Partito democratico – dice – collaborerebbe col governo sulle cose che reputa importanti per il paese e non importa se su altre dieci cose Berlusconi propone leggi non condivisibili”. Il prof ricorda, per esempio, che Ted Kennedy ha lavorato con Bush sulla legge No Child Left Behind. “Andare sull’Aventino, poi, non mi sembra una gran pensata, ma un atto di codardia, anzi se nel 1924 l’opposizione non si fosse ritirata sull’Aventino forse la storia italiana sarebbe stata diversa”. Secondo Zerlenga, che peraltro al prossimo pranzo minaccia di dettare a Veltroni un decalogo delle cose da fare, al centro della questione c’è il non rispetto della democrazia, il non riconoscimento dei risultati elettorali, la pretesa superiorità antropologica che fa dire a molte persone “non accetto Alemanno”. Sul merito, secondo il democratico Zerlenga, Berlusconi ha ragione, “io non l’ho mai votato e non sono berlusconiano, ma i giudici che fanno politica sono un oxymoron, un ossimoro”. Zerlenga ha un’amica giudice federale a New Orleans e dice che quando la incontra lei rifiuta sempre di parlare di questioni politiche. “Il diritto alla ricusazione del giudice, poi, è fondamentale, fa parte di quei diritti intrinsechi che nessuno può cancellare. In ogni caso, dov’è il problema? La democrazia è check and balance, il presidente della Repubblica può rifiutare la firma e poi eventualmente ci sono le Corti”. Zerlenga ricorda che cosa è successo la settimana scorsa con la sentenza della Corte suprema che ha riconosciuto ai terroristi di Guantanamo i diritti garantiti ai cittadini americani, ribaltando una legge approvata dal Congresso: “I 5 giudici di maggioranza hanno finalmente riconosciuto la natura disumana del nemico, ma hanno spiegato che noi dobbiamo rispondere con l’habeas corpus, mentre i 4 di minoranza hanno detto che no, prima dobbiamo sconfiggerlo”. That’s it. (chr.ro)
20 Giugno 2008