Camillo di Christian RoccaPronto, Georgia?

New York. La tanto temuta “telefonata delle 3 del mattino”, formidabile ma tardivo argomento di campagna elettorale di Hillary Clinton contro Barack Obama, è davvero arrivata a turbare il sonno dei candidati presidenziali con le cattive notizie dell’invasione russa in Georgia. Lo squillo non ha colto di sorpresa il repubblicano John McCain, prontissimo a spiegare che cosa stava succedendo nel Caucaso, a ricordare le responsabilità del Cremlino e a ribadire il suo piano per fermare le ambizioni autoritarie di Mosca.
Barack Obama, come previsto da Hillary, è stato meno reattivo. La sua prima reazione, affidata a uno scarno comunicato stampa dettato durante le vacanze alle Hawaii, invitava le due parti, Russia e Georgia, a contenersi. Due o tre ore dopo, il candidato democratico ha capito che la crisi geopolitica caucasica avrebbe potuto aprire un ulteriore varco per la campagna McCain, secondo i sondaggi considerata più affidabile sulle questioni di sicurezza nazionale, come si è visto in occasione della nuova strategia vincente in Iraq, a cui Obama si era opposto. Il senatore democratico si è così affrettato a condannare la Russia e a proporre, sulla scia del suo sfidante e del presidente in carica, un intervento più deciso della comunità internazionale a favore della Georgia. Obama ha abbandonato la cautela iniziale, ha alzato i toni e non è mai stato sfiorato dall’idea di rintracciare nella politica americana la genesi della crisi, anche perché lui stesso ha votato l’emendamento McCain favorevole all’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato.
Il dibattito sulla Russia si è aperto con argomenti opposti a quelli che si leggono sui giornali italiani. I big democratici come Richard Holbrooke sostengono che la reazione di Bush sia stata troppo tiepida, mentre gli analisti neoconservatori ricordano di aver avvertito da tempo delle intenzioni del Cremlino. Il punto non è che la politica americana sia stata avventurista nell’inseguire un idealistico futuro democratico per le ex Repubbliche sovietiche, ma che sia stata troppo ancorata alle ragioni della Realpolitik. McCain è il più duro con la Russia, e non da oggi. Sostiene la necessità di sospendere Mosca dal G8, un club che secondo lui spetta solo ai paesi pienamente democratici. Nel 2006 ha chiesto a Bush di boicottare il vertice di San Pietroburgo e di recente ha giudicato la freddezza della Nato sull’adesione georgiana all’Alleanza come un involontario via libera a Mosca. Il suo principale consigliere di politica estera, Randy Scheunemann, è stato lobbysta di Tbilisi e lo stesso McCain ha candidato al Nobel per la pace il presidente Mikhail Saakashvili. Al contrario di Bush che s’era fidato di Vladimir Putin al primo incontro – riuscendo a capire la sua anima guardandolo dritto negli occhi –  McCain non c’è mai cascato. Anzi, prendendo in giro Bush, racconta spesso che, quando ha guardato Putin negli occhi, ha visto solo tre grandi lettere: una K, una G e una B.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter