New York. L’invasione russa in Georgia ha riaperto la stagione della Guerra fredda, contribuendo a mettere per un attimo di lato il gran dibattito politico e intellettuale sullo scontro di civiltà con l’islam radicale. Anche l’Iraq non va più di moda tra gli analisti americani, ora che tutti, a destra come a sinistra, riconoscono che la situazione sul campo è migliorata al punto che, parola del polemista di sinistra Christopher Hitchens, si può davvero dire che la “missione sia compiuta”, in particolare dopo aver appreso che il governo democratico dell’Iraq può contare su un surplus di bilancio di 94 miliardi di dollari. Hitchens sostiene che ora bisognerà chiedere scusa al tanto vituperato Paul Wolfowitz, intellettuale neoconservatore ed ex funzionario al Pentagono al centro della politica americana anti Saddam, ai tempi sbertucciato per aver previsto che l’Iraq sarebbe stato in grado di pagarsi la ricostruzione con i proventi del petrolio.
Ma più che il successo della nuova strategia irachena invocata da alcuni neoconservatori – attuata abilmente dal generale David Petraeus, sostenuta dal candidato repubblicano John McCain e ostacolata dal senatore democratico Barack Obama – è proprio il ritorno improvviso della Guerra fredda ad aver riportato in primo piano nomi, posizioni e idee dei neoconservatori, ovvero degli eredi di quel movimento di intellettuali liberal newyorchesi, nato tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, che ai tempi di Ronald Reagan ha influenzato le azioni politiche di Washington contro l’impero del male sovietico.
Per i neoconservatori, intanto, questo ritorno al clima della Guerra fredda non è affatto una sorpresa. In questi anni, infatti, non hanno mai smesso di avvertire l’opinione pubblica americana del pericolo autoritario e pseudozarista di Vladimir Putin, come dimostrano le ormai consolidate posizioni di McCain, il politico americano che dagli anni Novanta in poi si è più servito della consulenza degli analisti neocon.
L’ultimo libro di Robert Kagan, uno dei più influenti pensatori neocon, si intitola “Il ritorno della storia” (in uscita per Mondadori) ed elabora la tesi che il mondo sia tornato di nuovo normale, dopo il miraggio creato dal crollo del Muro di Berlino. Le ambizioni e le passioni nazionaliste – ha scritto Kagan – non sono scomparse e accanto alla battaglia tra l’islamismo radicale e le culture moderne è riemersa la vecchia competizione tra liberalismo e autocrazia.
L’asse intellettuale con i “liberal hawk”
Date per finite ogni cinque minuti, ed erroneamente considerate ai margini della tradizione politica americana, le opinioni dei neoconservatori sulla situazione georgiana, pubblicate dai grandi giornali liberal, in questi giorni sono le più discusse e finora le uniche capaci di avviare un dibattito sulle possibili opzioni a disposizione della comunità occidentale.
Bill Kristol sul New York Times, Robert Kagan sul Washington Post e Max Boot sul Los Angeles Times, assieme alle tradizionali pagine degli editoriali del Wall Street Journal, hanno indirizzato il dibattito, ristabilendo l’antico e solido asse intellettuale con i “liberal hawk”, ovvero con l’establishment della sinistra muscolare, che dai tempi di Harry Truman fino alla guerra in Iraq, passando per tutta la stagione della Guerra fredda e degli interventi umanitari nei Balcani, ha costantemente guidato in modo bipartisan la politica estera americana.
Neocon, interventisti clintoniani di sinistra come Richard Holbrooke e Ronald Asmus, ma anche “Cold war warriors” come Zbigniew Brzezinski (consigliere di sicurezza nazionale di Jimmy Carter) concordano sull’analisi della situazione: le azioni politiche e militari della Russia di Putin sono simili a quelle di “Stalin e Hitler negli anni Trenta” (Brzezinski su Huffington Post), “a quelle usate dalla Germania nazista all’inizio della Seconda guerra mondiale” (Holbrooke e Asmus sul Washington Post). L’America – sostengono tutti quanti – deve contrastare le azioni russe sostenendo le giovani democrazie a rischio annessione, accogliendole nella Nato e, magari, anche sospendendo Mosca dal G8 o boicottando le Olimpiadi invernali di Sochi del 2014.