Barack Obama ha un problema serio con i Clinton. Dopo averli inaspettatamente sconfitti alle primarie democratiche, il senatore dell’Illinois non è ancora riuscito a trovare il modo di liberarsi della loro ingombrante presenza che tra l’altro torna a farsi minacciosa ogni qualvolta cominciano a circolare dubbi sulle sue concrete possibilità di vittoria alle elezioni presidenziali del 4 novembre contro John McCain. A tre settimane dalla convention di Denver (25-28 agosto) che lo incoronerà candidato del Partito democratico alla Casa Bianca, è partita una nuova offensiva clintoniana che rischia di rovinare le vacanze hawaiane del senatore, già infastidite da tutti quelli che in questi giorni si chiedono perché mai nei sondaggi non riesce a distanziare l’avversario repubblicano.
Dopo la quiete post primarie e i freddi scambi di cortesie complicati dai debiti contratti dalla Clinton Machine, Obama e Hillary non hanno ancora trovato un modo soddisfacente per riconoscere all’ex coppia presidenziale clintoniana un ruolo di primo piano alla convention di Denver. Al momento, lo staff di Bill Clinton* non ha ricevuto nessuna richiesta da parte degli obamiani per iniziative elettorali comuni, mentre Hillary sta provando a convincere Obama di una cosa altamente improbabile, ma che dà il segno della combattività dell’ex First Lady: Hillary vorrebbe mantenere il suo nome sulla prima scheda che sarà distribuita ai delegati alla convention, non perché voglia sfidare Obama sul risultato finale, ma per assicurare a se stessa e ai suoi diciotto milioni di elettori un riconoscimento pubblico e una passerella politica. Solo così, dicono i clintoniani, si potrà ritrovare l’unità del partito.
Il 26 agosto, secondo giorno della convention e ottantottesimo anniversario del riconoscimento del diritto di voto alle donne, un gruppo di sostenitrici di Hillary sfilerà per Denver per chiedere di poter votare Hillary, anche se soltanto nella prima e ininfluente scheda. Altri clintoniani parecchio più agitati, riuniti nel gruppo Puma (“Party Unity my Ass”, “unità del partito un par di balle”), credono che Hillary possa ancora ottenere la nomination, se solo decidesse di sfidare apertamente Obama alla convention provando a convincere i delegati. La senatrice, giovedì, ha confermato che la cosa non accadrà, ma ha ribadito di voler giocare un ruolo importante alla convention. Difficilmente Obama acconsentirà alla richiesta, peraltro non formalizzata di Hillary. E Hillary non andrà allo scontro, anche se le regole statutarie le danno ragione.
Le scaramucce tra i due leader democratici sono diventate la notizia del giorno e i portavoce delle due campagne sono stati costretti a correre ai ripari con un comunicato unitario in cui assicurano che stanno lavorando insieme per il successo della convention e della campagna elettorale. A Denver, precisano, “sarà rispettata le voce di tutti quelli che hanno partecipato a questo storico processo democratico”. Anche Obama ha confermato che tutto procede bene.
Il punto però è che Hillary e Obama non si sopportano. In più Hillary e Bill non credono che Obama ce la possa fare a vincere le elezioni e durante le primarie lo hanno detto chiaramente, fino ad aver condotto una campagna che molti analisti hanno considerato ai limiti del razzismo. Prima della cura Clinton, infatti, Obama era il candidato post-partisan e post razziale, capace di vincere in stati come l’Iowa che sono al 98 per cento popolati da bianchi e addirittura di incantare anche numerosi elettori conservatori. Dopo gli attacchi dei Clinton, Obama è diventato il candidato nero, tipicamente di sinistra ed elitario. Con questa tattica, Hillary ha recuperato stati su stati, ma il vantaggio di Obama era troppo ampio per essere colmato.
McCain sta tentando la stessa strada, tanto che, proprio ieri, ha presentato un nuovo spot che si conclude con Hillary che dice di apprezzare McCain per “l’esperienza di una vita che porterà alla Casa Bianca”, mentre “il senatore Obama può vantare soltanto un discorso (anti guerra in Iraq, ndr) pronunciato nel 2002”. Una mano, peraltro, continua a dargliela Bill: ai giornalisti che gli chiedevano se Obama fosse pronto a diventare presidente ha risposto che “nessuno lo è mai pienamente”. Pressato ancora dai cronisti ha confermato: “Non dico che non sia qualificato, ma è la Costituzione a fissare i requisiti per essere presidente, poi è la gente a decidere chi è il migliore”.
L’idea che Hillary e Bill si ritirassero a vita privata, pronti ad applaudire la nuova stella democratica che li ha scalzati non è mai stata credibile. Anche le voci di una candidatura di Hillary alla vicepresidenza non sono mai state davvero prese in considerazione, sebbene sia l’unico modo per Obama di avere la Clinton Machine al suo fianco.
Christian Rocca
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Questa mattina, ad articolo chiuso, la Nbc ha svelato che la campagna di Obama avrebbe offerto a Bill Clinton di parlare mercoledì sera, penultima giornata della convention di Denver, prima del candidato vicepresidente