New York. Ora che Barack Obama e John McCain, i due candidati americani alla Casa Bianca, stanno definendo gli ultimi dettagli per annunciare la scelta dei loro vicepresidenti, il primo nome che viene in mente è quello di Dick Cheney, l’uomo che ha cambiato l’istituto della vicepresidenza degli Stati Uniti. In realtà il primo a dare sostanza alla carica è stato Bill Clinton, con le deleghe di interi dossier ad Al Gore. Prima nessuno si curava dei vicepresidenti. Senza andare molto indietro nel tempo, pochi ricordano nomi e attività degne di nota del vice di Richard Nixon (Spiro Agnew), di Gerald Ford (Nelson Rockefeller), di Jimmy Carter (Walter Mondale), di George Bush senior (Dan Quayle). Dopo la cura Cheney (e Gore) non vale più l’antica battuta di John McCain, secondo cui per uno come lui che ha già vissuto quasi sei anni in una buia prigione vietnamita, nutrito di soli avanzi e scarti, sarebbe una follia pensare di rivivere quell’esperienza da vicepresidente degli Stati Uniti.
Ora il vicepresidente non è più soltanto l’uomo a un battito cardiaco dalla presidenza, magari un semplice volto spendibile in televisione o, come nel precedente John Kennedy-Lyndon Johnson (o magari nel futuribile Obama-Hillary), un avversario politico nominato alla seconda carica dello stato solo per evitare che da battitore libero possa intralciare o sabotare la presidenza. Malgrado il diffuso disprezzo nei confronti di Cheney, oggi si pensa al vicepresidente come al primo consigliere del boss, in tempi in cui forse l’impegno è troppo grande per un uomo solo. Il vicepresidente, grazie a Cheney, è diventata una figura che può aiutare i candidati alla Casa Bianca sui temi in cui sono meno preparati o meno affidabili (l’economia, per McCain; la sicurezza nazionale, per Obama).
Cheney, dunque. A solo sussurrarne il nome, “Dick Cheney”, sembra che a Washington tremino i muri. Il vice di Bush è considerato dai suoi avversari politici, cioè più o meno da tutti, l’anima nera dell’Amministrazione, il cattivone per eccellenza, uno che non si sa bene per quale motivo, se non per pura malignità, impiega il suo tempo a tessere trame oscure, invadere paesi stranieri ricchi di risorse naturali, fare affari con le multinazionali e profittare di tragedie provocate da lui stesso grazie agli agganci con il complesso militare-industriale e le compagnie petrolifere. Vice e Cheney sono sinonimi, come non manca mai di ripetere la columnist del New York Times, Maureen Dowd, anche perché “vice” in inglese vuol dire “vizio”.
La caricatura di Cheney fa sorridere, soprattutto gli stessi Cheney e Bush, i quali spesso ci scherzano pubblicamente. La sua biografia racconta anche altro, non solo di un uomo più a destra di Gengis Khan, come pure è stato scritto. Cheney si fa tranquillamente fotografare da “orgoglioso nonno” di un bambino adottato da sua figlia e dalla sua compagna (e la coppia gay era in prima fila alla convention repubblicana di quattro anni fa). Nel 1975, inoltre, Cheney è stato l’unico esponente dell’Amministrazione Ford a dissociarsi dalla decisione presidenziale di non ricevere Aleksandr Solzhenitsyn presa da Henry Kissinger per non far irritare i sovietici. Da quando è stato eletto vicepresidente, infine, lui e sua moglie hanno versato in beneficenza quasi otto milioni di dollari, il 77 per cento dei loro guadagni.
Chiunque sia il vero Cheney, i suoi otto anni al fianco del presidente Bush hanno cambiato il ruolo del vicepresidente, fino al punto, sostengono i critici, di aver trasformato gli Stati Uniti in una repubblica co-presidenziale. Bush mancava di esperienza internazionale e Cheney ha rassicurato gli americani che il presidente non sarebbe stato solo. La leggenda vuole che Cheney abbia fatto ben più che da consigliere del presidente, al punto che nei giorni infuocati post 11 settembre Bush avrebbe chiesto al suo vice di mettersi da parte perché nelle riunioni del suo war cabinet i partecipanti cercavano l’approvazione del vice, non la sua.
Il procedimento di selezione di Cheney ha alimentato le teorie cospirative: nel 2000, ottenuta la candidatura, Bush aveva incaricato Cheney di valutare nomi, carriere e caratteristiche dei possibili candidati alla sua vicepresidenza. Solido esponente dell’establishment repubblicano sulle questioni di sicurezza nazionale, già capo dello staff del presidente Gerald Ford, segretario del Pentagono con Bush senior e sei volte deputato del Wyoming, Cheney concluse il suo lavoro dicendo a Bush che il miglior candidato era lui. Proprio ieri, il regista e militante radical Michael Moore ha chiesto a Caroline Kennedy, la figlia di Jfk scelta da Obama per guidare il processo di selezione del suo vicepresidente, di fare come Cheney nel 2000, cioè di autoproporsi come la perfetta candidata vicepresidente per sfruttare l’immagine potente di un ticket Obama-Kennedy.
Nell’unica volta in cui ha parlato del suo possibile vicepresidente, Obama  ha detto che non sarà uno che su questo o quel tema, e in particolare sulle questioni internazionali, gli indicherà che strada seguire. Non sarà un Cheney, dunque. Eppure, al momento, i suoi principali candidati sono dei simil Cheney di centrosinistra: Joe Biden, navigato esperto di politica estera che alle primarie democratiche diceva che il lavoro da presidente richiede un candidato subito pronto a prendere decisioni, e Sam Nunn, pilastro democratico sulle questioni di sicurezza nazionale. Insomma, due simil Cheney. Entrambi necessari, come otto anni fa Cheney per Bush junior, a completare il ticket guidato da un candidato giovane e inesperto.
Il settantunenne McCain, uno che nel 2001 diceva che anche lui avrebbe nominato Cheney alla vicepresidenza, ha il problema inverso, cioè quello di presentare un candidato vice giovane, fresco, non importa quanto esperto. I democratici hanno aperto un sito, “the next Cheney”, per sottolineare invece che la scelta di McCain ricadrà proprio su “un altro Cheney”. Il paradosso è che nell’elenco dei papabili non hanno inserito uno dei veri candidati di McCain: Joe Lieberman, il senatore democratico che ora sta con il candidato repubblicano, malgrado nel 2000 sia stato scelto come vice da Al Gore. E che, per un pugno di voti in Florida, oggi non è alla Casa Bianca al posto di Cheney.

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