New York. Mancano 54 giorni alle elezioni presidenziali americane del 4 novembre e la partita si è consolidata su due formidabili candidati non convenzionali che però, come ha scritto il Washington Post, inaspettatamente si affidano a programmi e piattaforme politiche convenzionali e di partito.
Barack Obama è il primo candidato nero alla presidenza degli Stati Uniti, un senatore di poca esperienza e di grandi capacità politiche e intellettuali. John McCain è il “maverick” della politica americana, il senatore che fa di testa sua, noto per il suo spirito indipendente e la capacità di andare controcorrente e contro il suo stesso partito. Entrambi, Obama e McCain, hanno sfidato e sconfitto l’establishment washingtoniano dei loro schieramenti. Obama ha annichilito la potente macchina clintoniana, sbrigativamente giudicata imbattibile proprio perché convenzionale. McCain ha battuto Mitt Romney, il repubblicano che aveva più soldi e più connessioni nell’apparato di partito.
Obama e McCain hanno vinto le elezioni primarie contro ogni previsione, grazie alle loro campagne elettorali non impostate su programmi e proposte concrete, ma sulla biografia personale, sulla visione presidenziale e sul sogno americano. Sono stati il profeta Obama e l’eroe McCain a prevalere e non è un caso che la loro vittoria sia stata contesa dalla donna Hillary, più che dal senatore Clinton, e dal predicatore Mike Huckabee, più che dal businessman Romney, perché anche la donna e il predicatore erano candidati non convenzionali.
Obama e McCain hanno vinto grazie a posizioni di principio prese in momenti in cui erano impopolari – il no di Obama alla guerra e l’insistenza di McCain per inviare più soldati in Iraq con una nuova strategia. I due sfidanti hanno messo a rischio la loro carriera politica, ma sono state le loro decisioni più coraggiose a premiarli. Ecco spiegato l’attuale ribaltamento della dinamica elettorale. Obama, scegliendo Joe Biden, ha preso una decisione convenzionale. McCain, con Sarah Palin, ha stupito.
(segue dalla prima pagina) Il vice di Obama, Joe Biden, è un ottimo senatore, probabilmente il meglio che la politica del gran salotto di Washington poteva offrire, ma è stata una scelta convenzionale, in controtendenza con il messaggio di novità e cambiamento del candidato democratico. La scelta di Biden è stata dettata dalla prudenza, dal buon vantaggio segnalato dai sondaggi e dalla necessità di limitare i danni, cioè di non dare ulteriori scossoni a una situazione politica che sembrava ideale. L’effetto Biden, per il momento, è stato come aver appaltato la campagna messianica per il cambiamento a uno di quegli autorevoli, ma noiosi, rapporti del Council on Foreign Relations, senza la freschezza pop dei mesi precedenti.
“Let Obama be Obama”, lasciate che Obama si comporti da Obama, anche perché McCain è più McCain che mai. Mentre tutti gli consigliavano di prendersi Romney, il senatore dell’Arizona ha scelto la persona più distante possibile da Washington, l’unica capace di rubare la scena a Obama, Sarah Palin. Di nuovo, una scelta coraggiosa e rischiosa, che alla lunga potrebbe anche non pagare, ma che per il momento ha cambiato la dinamica della corsa alla Casa Bianca. Ora McCain è leggermente in testa e ha costretto Obama a confrontarsi con Palin – il Messia contro Mamma Barracuda – invece che con lui, consentendogli di stare su un altro piano rispetto a Obama, quello del saggio statista che assiste dall’alto allo scontro tra due abili e promettenti ragazzi.
A Obama, ora, serve lasciare di stucco l’America, fare o dire qualcosa che di nuovo stupisca, perché la lezione di questo lungo anno elettorale, ha scritto David Brooks sul New York Times, è che “le stranezze vincono”, le ortodossie di partito perdono e condurre le campagne elettorali in modo tradizionale non paga più.
In 54 giorni si possono ancora fare molte cose, tanto più che sia Obama sia McCain, a fronte del loro status di candidati non convenzionali e del loro gran parlare di voler cambiare l’aria a Washington, non hanno ancora proposto idee ambiziose o strategie innovative, piuttosto si sono adagiati sulle solite piattaforme politiche dei rispettivi partiti.
Christian Rocca
11 Settembre 2008