Camillo di Christian RoccaIn subprime time

New York. “Ole Miss”, Università del Mississippi, ore tre del mattino italiane di venerdì. Primo dibattito presidenziale tra il vecchio eroe e il giovane profeta nel pieno della crisi finanziaria. Il repubblicano John McCain è parso più diretto, a tratti ripetitivo. Il democratico Barack Obama più eloquente e forbito, ma spesso distaccato. McCain si è rivolto all’avversario chiamandolo “senatore Obama”. Obama non si è mai deciso tra il colloquiale “John” e il più formale “senatore McCain”. Per sei volte McCain ha detto che “Obama non capisce”, specie riguardo alla nuova strategia irachena. Per otto volte Obama ha detto “John ha ragione” e pare che la cosa sia piaciuta agli elettori indecisi. McCain stava sempre lì a spiegare al giovane avversario come ci si comporta al mondo, ma senza eccessiva arroganza. Obama è rimasto cool, ma nella seconda metà del dibattito è sembrato quasi frustrato di fronte alla supponenza di McCain e soprattutto indeciso se attaccarlo o se continuare con le sue dotte analisi politiche. McCain ha puntato sulla sua esperienza sul campo, sul suo essere stato qua e là, sul suo conoscere da vicino i leader internazionali. Obama sciorinava dottrine di politica estera come a un seminario di Harvard.
Nessuno dei due si è presentato con una chiara e nuova visione strategica sul futuro dell’America ed entrambi sono stati evasivi anche sul piano di salvataggio di Wall Street elaborato dal segretario del Tesoro, Henry Paulson. Sono apparsi come due bravi senatori – battagliero e affidabile l’uno e capace e competente l’altro – ma più attenti ai dettagli della politica politicante che a nuove e grandi idee. McCain ha citato grandi personaggi del passato, Eisenhower, Nixon, Reagan, mentre Obama ha citato Google, anche se spesso ha evitato di rispondere alle precise domande del moderatore Jim Lehrer.
Per tre volte, in particolare, Obama non ha voluto dire a quale punto dovrà rinunciare del suo piano di investimenti sociali ora che l’intervento federale per salvare Wall Street farà mancare alle casse di Washington centinaia di miliardi di dollari. McCain s’è inventato lì per lì la sospensione di ogni spesa pubblica, con l’eccezione delle spese militari, per i reduci delle guerre, ovviamente, di sanità e pensioni.
McCain è stato più populista, spostando la prima parte del dibattito, in teoria sulla crisi finanziaria, sul terreno a lui più congeniale della lotta agli sprechi e ai finanziamenti pubblici senza controllo che i membri del Congresso riescono a portare a casa (anche Obama, per 900 milioni di dollari). “Al Senato mi chiamano ‘sceriffo’ – ha detto McCain – e non ho mai vinto il premio di mister simpatia”. Obama non è riuscito a uscire dalla trappola demagogica di McCain, se non contrapponendo ulteriore demagogia sull’eccessiva spesa in Iraq.

Due battute da ricordare
I due non hanno commesso grandi errori, solo piccole cose minori: McCain è inciampato sul nome di Ahmadinejad e ha sbagliato quello del presidente pachistano; Obama ha detto che Henry Kissinger la pensa come lui sull’Iran, ma nel dopo dibattito Kissinger ha smentito. Obama ha attaccato Bush, ma nemmeno tanto. Anzi, a un certo punto ha detto, quasi sottovoce, che oggi l’America è “più sicura” rispetto all’11 settembre, demolendo uno dei principali atti d’accusa liberal nei confronti di Bush. McCain s’è addirittura avventurato a collegare l’arroganza obamiana contro il “surge” del generale David Petraeus con quella di Bush che per anni ha rifiutato di prendere in considerazione una nuova strategia. Sull’Iraq McCain ha ricordato che Obama ha avuto torto sul “surge” del generale Petraeus e che ora gli americani stanno vincendo e torneranno a casa con onore, invece che sconfitti come sarebbe successo se fosse passato il piano di Obama. Il senatore democratico ha ricordato che in Iraq non ci si sarebbe dovuti andare e punto, come aveva previsto lui nel 2003.
I dibattiti presidenziali americani ogni tanto passano alla storia per una battuta. In Mississippi ce ne sono state almeno un paio che, in teoria, potranno essere ricordate. C’è chi dice che questo sarà il dibattito del “John ha ragione” o del “Obama non capisce”. Ma anche della caricatura che McCain ha fatto della posizione di Obama sul trattare con l’Iran: “Quindi noi ci sediamo con Ahmadinejad e quando lui dice: ‘Cancelleremo Israele dalla faccia della terra’, noi dovremmo dire: ‘No, non lo farete’. Ma per favore”.    (articoli a pagina due)