Camillo di Christian RoccaMcCain, in fondo, non ha bisogno di una convention

St. Paul (Minnesota). In fondo John McCain non ha bisogno di una convention per mostrare di essere il comandante in capo che l’America si merita. E alla fine la sua decisione, causa uragano Gustav su New Orleans, di sospendere le attività politiche della prima giornata del congresso del Partito repubblicano che giovedì in qualche modo dovrà nominarlo come candidato alla Casa Bianca potrebbe avvantaggiarlo, malgrado l’assenza dal prime time televisivo e l’iniziale euforia dei democratici. La campagna McCain valuta ora per ora l’impatto dell’uragano e deciderà di conseguenza come procedere con i lavori della Convention, nel frattempo trasformata in una specie di Telethon di solidarietà alla popolazione con gli appelli di Laura Bush e Cindy McCain e la sottolineatura dell’azione efficace dei governatori repubblicani nelle operazioni di evacuazione e assistenza (ai tempi di Katrina, il governatore della Louisiana era una democratica).
McCain in un colpo solo ha cancellato lo psicodramma con George W. Bush e le reciproche diffidenze con la destra religiosa che già facevano sognare i democratici e che Barack Obama, al suo interno, non è riuscito a evitare con Hillary Clinton. La decisione di McCain di partire per le zone colpite dall’uragano dà sostanza allo slogan della sua campagna “country first”, il paese prima di tutto, specie se paragonato a uno dei primi errori di Obama, quello di aver continuato a fare polemica sulla candidata vicepresidente Sarah Palin e aspettato un intero giorno prima di sospendere i comizi politici.
Qualcuno definisce la mossa di McCain come una specie di redenzione pubblica e collettiva, dopo l’impreparazione dell’Amministrazione Bush durante l’uragano Katrina del 2005, e inoltre l’opportunità di mostrare in modo concreto il lato solidale dei repubblicani. McCain è costretto a rinunciare agli attacchi a Obama che fin qui hanno funzionato e che la convention democratica non gli ha fatto mancare. Ma il punto è che Obama è improvvisamente scomparso dalla televisione e dai giornali, non solo a causa di Gustav, ma anche di Sarah Palin (che ieri ha annunciato la gravidanza della sua figlia diciassettenne e il prossimo matrimonio).
I sondaggi mostrano che, al momento, la scelta di Palin è azzeccata: Gallup segnala una riduzione del rimbalzo post convention di Obama, da più 8 a più 6 per il senatore democratico (poco meno della media quarantennale che è, per i democratici, di più 6,2). Zogby dà la coppia McCain-Palin in vantaggio di due punti su Obama-Biden. Cnn e Time danno i democratici avanti di un solo punto, la settimana scorsa erano cinque, Rasmussen di due. La differenza, rispetto a qualche settimana fa, è che Sarah Palin ha galvanizzato la base conservatrice, dai leader evangelici agli opinionisti radiofonici, fino ai semplici militanti che improvvisamente corrono a sentire la nuova eroina. A St. Louis, l’altroieri, erano in diciassettemila, una folla mai vista alle manifestazioni repubblicane di quest’anno. In poche ore McCain ha raccolto sette milioni di dollari e una biografia della governatrice dell’Alaska è salita di colpo ai primi dieci posti della classifica di Amazon, scatenando un’asta fino a 200 dollari per una copia usata del libro.
I democratici non hanno ancora preso le misure, accusano Palin di inesperienza, ma lei è governatore di uno stato e i più accorti sanno che si tratta di un argomento scivoloso per un candidato come Obama che non ha mai amministrato nulla. Dicono che non è pronta a guidare il paese, ma temono di far inferocire l’elettorato femminile. Uno come John Kerry, al contrario, dice che con la Palin ci sarebbe un terzo mandato di Dick Cheney, un filino contraddittorio rispetto al mantra per cui “non è pronta”. Le pagine dei giornali liberal ospitano articoli su articoli sull’impatto sul voto femminile, a volte ammettendo che McCain potrebbe aver centrato il colpo, altre volte sperando che le donne non si faranno ammaliare da una donna antiabortista. La femminista di sinistra Camille Paglia, al Time, però ha detto che, “da democratica sta vacillando, perché potremmo davvero vedere la prima donna presidente: il suo discorso è stato il miglior discorso politico che abbia mai sentito pronunciare a una donna americana impegnata in politica. Palin è dura come l’acciaio”.

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