Camillo di Christian RoccaThat's it/19

New York. “The Empire Diner”, sulla decima avenue, all’altezza della 22esima strada. Un vagone ristorante Art Déco di acciaio inossidabile, adagiato sul confine occidentale di Chelsea fin dal 1929, l’anno della Grande depressione molto citata in questi giorni nei salotti con vista su Central Park. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga ordina un pasto che cattura lo spirito del tempo (sandwich B.L.T. – bacon, lattuga, tomato – torta alla crema pasticcera e coccobello, due Diet Coke, un cappuccino) e spiega che non stiamo assistendo solo alla crisi di Wall Street, ma a una “bancarotta intellettuale”.
La crisi passerà. Il principio guida degli americani, dice, è quello del “try”, provare e provare fino a quando non si trova una soluzione efficace. E’ successo con l’Iraq, sta capitando con il salvataggio governativo di Wall Street. Zerlenga si stupisce del dibattito europeo su liberismo e statalismo scatenato dalla crisi finanziaria: “Gli europei amano l’interpretazione della storia, quella marxista, quella cattolica, ma in realtà non amano la storia e non capiscono che l’America non è una società ideologicamente capitalista. E’ una società pragmatica fondata sul ‘common sense’ di Thomas Paine, sul buon senso. In momenti come questi non esistono coerenza e principi, esistono le conseguenze. Non ci sono repubblicani o democratici, sono tutti americani, sono tutti pragmatici. That’s it”.
Il professore italo-americano, più che per la crisi finanziaria, appare preoccupato per la scomparsa dei liberal dal panorama politico, malgrado riponga molta fiducia in Barack Obama. Intanto li chiama giustamente “liberali”, poi ricorda che sono esistiti soltanto per un breve periodo, in quei due anni di John Kennedy al governo. Poi spiega che il vero liberal è chi si batte per la libertà di tutti, non solo per la propria, chi si confronta con le idee altrui e rifugge da cliché o dogmi, e chi difende la vita da chi la disprezza. “Il New York Times non è liberale – dice Zerlenga – è politicamente corretto, che è una forma sottile di stalinismo perché non accetta la realtà per quella che è. E quando non si accetta la realtà, ci si affida alle ideologie”.
Zerlenga estrae articoli di Time che assicurano che l’Arabia Saudita è impegnata contro il radicalismo islamico (“o sono ignoranti di islam come Sergio Romano oppure scrivono cose palesemente false per ottenere il visto di ingresso”), ricorda che il presidente Giovanni Leone, al contrario di Giulio Andreotti, era liberale perché ai sauditi che chiedevano di poter costruire una moschea a Roma disse di sì, ma a condizione che loro non impedissero di costruire una chiesa in casa loro: “Non se ne fece niente, naturalmente – aggiunge Zerlenga – Poi Andreotti ritirò la richiesta di reciprocità e la moschea fu costruita, la chiesa no. E secondo Sergio Romano, Andreotti era stato realista”.
Zerlenga, invece, la definisce “bancarotta intellettuale”, la stessa che pochi giorni fa ha portato l’Inghilterra ad accettare la giurisdizione basata sulla sharia, cioè sulla legge islamica. Il prof sfodera un articolo del Times di Londra che racconta come la Gran Bretagna abbia accettato di delegare la giurisdizione su materie familiari alle corti islamiche create all’interno delle comunità musulmane: “Continuiamo a voler vedere una realtà diversa da quella reale. Crediamo che l’islam sia una religione come le altre, ma non è una religione come la intendiamo noi. E’ nata come stato, è un fatto politico. Secondo la sharia le donne valgono meno degli uomini e queste corti islamiche hanno già emesso sentenze discriminatrici”. L’Inghilterra, conclude Zerlenga, è diventata “la parte marcia dell’Europa”. (chr.ro)

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