New York. A una settimana esatta dalle elezioni presidenziali, il candidato democratico Barack Obama è sempre più in testa ai sondaggi elettorali nazionali e statali e ieri ha cominciato a portare in giro per l’America “l’argomento finale” della sua campagna elettorale, tornando ai toni lirici degli inizi della sua avventura: “Il cambiamento di cui abbiamo bisogno – ha detto Obama in Ohio – non riguarda soltanto nuovi programmi e nuove proposte, ma una nuova politica, una politica che si appella ai nostri migliori angeli, invece che incoraggiare i nostri peggiori istinti, che ci ricordi degli obblighi che abbiamo con noi stessi e uno con l’altro”.
Il 4 novembre, però, non si vota soltanto per la presidenza degli Stati Uniti, ma come ogni due anni anche per il rinnovo della Camera e di un terzo del Senato. La situazione per il Partito democratico non può essere migliore, al punto che per i democratici e il loro candidato presidenziale si prevede il miglior risultato degli ultimi quarantaquattro anni: non solo il controllo della presidenza e dei due rami del Congresso, come già durante i primi due anni di Bill Clinton, ma anche un mandato ampio per il presidente come nel 1964 e una maggioranza a prova di ostruzionismo al Congresso.
I democratici controllano già di misura al Senato e abbastanza agevolmente alla Camera. Con il voto di martedì prossimo potrebbero strappare ai repubblicani altri cinque/nove seggi al Senato e venti/trenta alla Camera, sfruttando l’ondata pro Obama, ma anche l’oculata scelta di presentare in zone repubblicane candidati più conservatori che liberal. La strategia aveva funzionato già due anni fa, alle elezioni di metà mandato, quando sono stati eletti 47 deputati “blue dogs”, moderati e conservatori. In totale sono il 20 per cento del gruppo parlamentare democratico, ma in questi due anni non sono riusciti a emergere e a influenzare la leadership democratica. Ora ce n’è in arrivo almeno un’altra dozzina, hanno scritto il New York Times e Time. Candidati in zone conservatrici, questi probabili nuovi deputati democratici quasi non menzionano Obama nei loro comizi e fanno apertamente campagna elettorale contro l’aborto. Mai nella storia recente del Partito democratico s’era visto una legione di candidati anti aborto come quest’anno, malgrado la piattaforma del partito sia più pro choice del solito. Secondo Pete Wehner, ex capo del centro studi interno alla Casa Bianca di Bush, le probabili vittorie democratiche del 4 novembre non segnalano un cambiamento ideologico nel paese, ma in un certo senso provano che gli Stati Uniti siano un paese conservatore. L’approccio di Obama è moderato, l’oratoria a tratti conservatrice e ieri un gruppo di cristiani per Obama ha diffuso spot radiofonici in cui si sente Obama parlare della sua fede, della sua sottomissione a Cristo, del suo inginocchiarsi davanti alla croce.
Le ultime risorse dei repubblicani
Il probabile successo dei democratici al Congresso sarà decisivo perché una solida maggioranza al Senato consentirà a Obama, in caso di elezione alla Casa Bianca, di poter far approvare la sua agenda politica senza grandi compromessi. Se i democratici raggiungeranno quota sessanta seggi al Senato (oggi ne hanno 51 con l’indipendente Joe Lieberman) toglieranno infatti ai repubblicani l’unica arma a loro disposizione per ostacolare le politiche democratiche – ovvero il filibustering, l’ostruzionismo fondamentale per influire sulla nomina di giudici federali e costituzionali.
I repubblicani danno già per persa la partita in alcuni stati, mentre rischiano di perdere il posto il leader del Senato Mitch McConnell del Kentucky ed Elizabeth Dole della Nord Carolina, oltre a Norm Coleman del Colorado a vantaggio del comico Al Franken. La situazione è così drammatica che David Frum, ex speechwriter di George W. Bush e columnist del Foglio, in un articolo sul Washington Post ha suggerito ai repubblicani di utilizzare le ultime risorse finanziarie nelle elezioni senatoriali, piuttosto che nella campagna presidenziale di McCain. I repubblicani, ha scritto Frum, dovrebbero accettare l’ormai certa sconfitta di McCain e spiegare agli americani che non si possono permettere anche una maggioranza democratica e a prova di ostruzionismo al Congresso. McCain prova a fare il ragionamento opposto: ci sarà certamente un Congresso democratico, guidato da Nancy Pelosi e Harry Reid, quindi non ci possiamo permettere di consegnare a Obama anche la Casa Bianca. “E’ un ‘dangerous threesome’, un triangolo pericoloso – ha detto McCain – Se questi tre guideranno Washington saremo nei guai, amici miei. Ci sarà da mettere mano al portafoglio”.