Camillo di Christian Rocca58 and counting

New York. I democratici americani hanno raggiunto quota 58 senatori su cento, due in meno della super maggioranza con cui potrebbero evitare le manovre ostruzionistiche dell’opposizione repubblicana. Il cinquantottesimo seggio è quello dell’Alaska, dove la battaglia si è conclusa con la sconfitta del repubblicano Ted Stevens, condannato una settimana prima del voto per aver ricevuto regali da un finanziatore. Il vincitore è il sindaco di Anchorage Mark Begich, il quale ha ribaltato lo svantaggio iniziale, vincendo con 3.724 voti di scarto.
La quota sessanta senatori democratici è ancora possibile, perché due seggi non sono stati ancora assegnati, in Minnesota e in Georgia. In realtà nemmeno il seggio dell’Oregon, vinto ufficiosamente dallo sfidante democratico Jeff Merkley, è stato ancora assegnato, ma tutti i giornali lo danno per certo. In Minnesota, il senatore repubblicano Norm Coleman è avanti di 215 voti sull’ex comico del Saturday Night Live Al Franken, ma in caso di scarto così ridotto la legge prevede che si debba procedere a un riconteggio. Il vantaggio per Coleman era più del doppio, ma prima che partisse il riconteggio sono state trovate molte schede, comprese una quarantina nel bagagliaio di un presidente di seggio, quasi tutte a favore di Franken. Il riconteggio delle quasi tre milioni di schede è appena cominciato.
In Georgia, invece, il senatore uscente Saxby Chambliss ha preso il 49,8 per cento dei voti, contro il 46,8 dello sfidante democratico, ma per la legge locale se nessun candidato supera il 50 per cento si rivota in una specie di ballottaggio al quale partecipano soltanto i primi due arrivati. Il voto è previsto per il 2 dicembre, con il repubblicano favorito non solo perché è arrivato in testa, ma anche perché il terzo candidato libertario-liberista che aveva preso il 3,4 per cento questa volta non ci sarà e, inoltre, perché il democratico non potrà contare sulla mobilitazione obamiana del 4 novembre. In teoria ci sono in ballo anche altri due seggi, quelli lasciati liberi dal presidente eletto Barack Obama in Illinois e dal vicepresidente eletto Joe Biden in Delaware. La legge americana prevede che in caso di dimissione di un senatore è il governatore dello stato a scegliere, senza convocare elezioni, un sostituto che però resta in carica soltanto due anni, invece che sei, fino alle successive elezioni di metà mandato del 2010. I governatori dell’Illinois e del Delaware sono democratici e quindi non c’è alcun dubbio che sceglieranno un esponente del loro partito. Si parla di Jesse Jackson jr. o di una donna soldato invalida e reduce dell’Iraq per l’Illinois e si è a lungo speculato sul figlio trentanovenne di Biden per il Delaware, ma ieri Beau Biden ha detto di non essere interessato, anche perché per un anno è in Iraq come capitano della Guardia nazionale del Delaware. 
Sono 58, dunque. Una maggioranza solida e a prova di defezioni. Ma i democratici hanno buone possibilità di conquistare anche i due seggi rimanenti, con i quali – a quota sessanta – potranno far passare al Senato qualunque nomina presidenziale e qualsiasi proposta politica. Ecco perché, martedì, il gruppo democratico al Senato ha deciso di non espellere Joe Lieberman e di non togliergli la presidenza della commissione sulla Sicurezza nazionale. Lieberman, ex candidato vicepresidente di Al Gore nel 2000, ha sostenuto la guerra al terrorismo di George W. Bush e sostenuto John McCain alle elezioni, parlando addirittura alla convention repubblicana di St. Paul. Due anni fa, era stato sconfitto alle primarie democratiche da un candidato pacifista ma, da indipendente, è riuscito a mantenere il seggio e, una volta al Senato, è stato il cinquantunesimo voto con cui i democratici hanno potuto guidare il Senato. La sinistra radicale e parecchi suoi colleghi volevano punirlo, ma è intervenuto Obama a frenare. In un colpo solo, il presidente eletto ha mostrato grazia e realismo, anche perché in caso di vittoria in Minnesota e in Georgia, il voto di Lieberman sarà ancora una volta decisivo.

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