New York. Adam Bellow è l’editore e l’intellettuale che negli ultimi quindici anni ha pubblicato i più importanti libri di pensatori conservatori, quelli che hanno alimentato in modo serio la guerra culturale americana, attaccando alle radici i dogmi liberal ed egalitari della sinistra statunitense. Figlio del più grande scrittore americano, Saul Bellow, il cinquantunenne Adam, dopo una vita a sfornare libri per la Free Press, ora è vicepresidente di Collins, una divisione di Harper Collins, dove continua a produrre saggi di taglio conservatore. Questo è un momento interessante, dice Bellow. Ci sarà da superare lo choc da sconfitta, ma poi arriverà una rinascita del movimento intellettuale, un rifiorire di quei centri studi e delle riviste di destra che in questi anni sono stati prevalentemente impegnati nella difesa di George W. Bush. Ora i conservatori si dovranno rimettere a pensare, a produrre idee, a scrivere, aggiunge Bellow: “I liberal saranno impegnati a convincere Obama ad attuare le vecchie ricette di sinistra, mentre mi aspetto molto dalla nuova generazione di intellettuali conservatori, dal nuovo capo dell’American Enterprise Institute, Arthur Brooks, e dal Manhattan Institute di New York”.
Bellow vive nell’Upper West Side, si definisce neoconservatore, è registrato al Partito democratico e martedì ha votato Barack Obama. Il presidente eletto, dice Bellow, “è una persona intelligente, ma anche enigmatica e l’elemento simbolico della sua elezione va ben oltre qualsiasi errore che Obama possa commettere. Spero solo che emerga come uno di quei mostri brillanti e spietati che la politica americana ogni tanto riesce a produrre”. Bellow, come tutti, si pone la domanda su chi sia Barack Obama: “Io credo si sia costruito la sua identità, prendendo un po’ qua e un po’ là della sua biografia. E’ affascinante – aggiunge – perché Obama non era nessuno e poteva essere chiunque avesse scelto di essere, sarebbe potuto restare alle Hawaii, tornare in Africa, fare l’avvocato, invece ha fatto una scelta cosciente, quella di identificarsi con la parte nera del suo lignaggio, come ha scritto nella sua biografia, scegliendo la parte più rumorosa e radicale della cultura afroamericana, quella nutrita di ideologia nera, di risentimento e di rabbia. Tutto ciò sembra definire Obama, ma non è così”. Bellow sostiene, infatti, che i neri come Obama e sua moglie, gente che ha frequentato le migliori scuole del paese, sono un po’ come quegli ebrei degli anni Sessanta che ce l’avevano fatta, si sentono un po’ in colpa del loro successo e così scelgono di andare nella chiesa radicale di Jeremiah Wright per rispetto nei confronti dei loro genitori, per vivere una parte di quel mondo. “Obama è più come Franklin Delano Roosevelt, del quale prima dell’elezione dicevano fosse vuoto, non qualificato, senza passato, ma una volta alla Casa Bianca è diventato addirittura ‘il traditore della sua classe’. Obama non è nessuno in particolare, può scegliere chi vuole essere e credo che, come scrivono Bill Kristol e David Brooks, il suo istinto sia quello di domare l’estrema sinistra, la parte più radicale del suo elettorato, esattamente come fecero Roosevelt, Abramo Lincoln, Lyndon Johnson e Ronald Reagan, grandi presidenti che hanno fatto grandi cose anche perché sapevano di essere prima di tutto leader della nazione, poi del partito e soltanto occasionalmente del movimento”.
Bellow sostiene che Obama dovrà guardarsi alla sua sinistra, più che a destra, perché ormai al Congresso “i conservatori non contano più, non hanno niente da dire, possono solo provare a fare ostruzionismo, ma se i repubblicani diventeranno il partito anti Obama continueranno a rimpicciolirsi e questa – aggiunge Bellow – è una cosa che il segmento intellettuale del movimento capisce bene”. I repubblicani sono nel caos, dice Bellow, come dimostra la scelta di Sarah Palin. La governatrice dell’Alaska, però, “rappresenta due quinti dell’antica coalizione reaganiana, l’ala religiosa e quella populista e, in teoria, anche l’ala libertaria è attratta perché i grandi spazi vuoti dell’Alaska favoriscono l’illusione di estrema libertà, ma i libertari amano anche la politica delle idee”.
A Bellow, la Palin non sta affatto antipatica: “Mi piace moltissimo il fatto che terrorizzi i liberal, penso che sia delizioso, come l’aroma di una buona tazza di caffè al mattino, ma sono convinto che sia stata una scelta cinica, dettata dalla paura. So che se McCain avesse scelto Joe Lieberman avrebbe perso anche in modo più ampio, ma il punto è che avrebbe perso lo stesso, quindi avrebbe fatto meglio a compiere un gran gesto, una scelta filosofica, una cosa con cui sarebbe passato alla storia perché tra l’altro avrebbe segnalato la necessità di costruire un nuovo centrodestra nazionalista, capace di intercettare gli indipendenti di destra e di sinistra, quei nazionalisti hamiltoniani, come li chiama David Brooks, che credono nel libero mercato e nelle infrastrutture pubbliche”.
Bellow considera la politica estera di Bush e in particolare l’Iraq un grande successo, ma ha votato Obama “perché un voto per McCain sarebbe stato un voto di paura per il cambiamento, per il futuro, per Obama. Ma la mia fede in questo paese è troppo grande per essere influenzata da chi dice che è un socialista e, in ogni caso, so che se Obama governerà così il paese non lo rivoterà”.
Christian Rocca
11 Novembre 2008