New York. Martedì è il giorno delle elezioni, ma per il Partito repubblicano, qualunque sarà l’esito elettorale, quelli decisivi sono i giorni successivi. Anche se John McCain dovesse riuscire a diventare presidente con un recupero prodigioso, il Partito repubblicano resta a corto di idee e incapace di tenere insieme l’antica coalizione di liberisti, conservatori sociali e neoconservatori che ha dominato intellettualmente gli ultimi 28 anni della politica americana. McCain non è un esponente tipico del suo partito e la sua invece probabile sconfitta contro Barack Obama ha già accelerato la resa dei conti e la battaglia dietro le quinte per ridefinire l’anima repubblicana. Il quotidiano online The Politico ha svelato che giovedì, due giorni dopo il voto presidenziale, numerosi leader conservatori si riuniranno per un lungo weekend in una casa di campagna della Virginia per avviare la discussione su come rivitalizzare un partito che con ogni probabilità perderà la Casa Bianca e subirà un’ulteriore e pesante sconfitta al Congresso. La fonte anonima citata da The Politico sostiene che in caso di vittoria di McCain il gruppo di leader conservatori si porrà il problema di come confrontarsi con la nuova Amministrazione, ben sapendo che il conservatore alla Casa Bianca non sarà McCain, ma Sarah Palin. Una settimana dopo le elezioni, a Miami, si riunirà l’associazione dei governatori repubblicani e l’incontro, a cui parteciperanno intellettuali, politici, sondaggisti ed ex generali, è già considerato come il primo appuntamento ufficiale per discutere il futuro del partito, seguito qualche giorno dopo a Myrtle Beach da una riunione convocata dal presidente del Grand Old Party della Carolina del sud, Keaton Dawson, uno che è in lizza per diventare presidente del partito nazionale. A gennaio, infine, il partito che in caso di sconfitta di McCain si troverà privo di leadership dovrà scegliere il suo presidente.
L’idea è che a essere nei guai è il Partito repubblicano, non il movimento conservatore, come dimostra la campagna di Obama centrata sul taglio delle tasse (e alla destra del Partito democratico su famiglia, matrimonio gay, politica estera, sicurezza nazionale, pena di morte). L’America resta un paese di centrodestra, chiunque vinca le elezioni, dicono i principali commentatori conservatori. Non c’è, però, una ricetta condivisa su come riconquistare la leadership del paese.
L’istinto primario è quello di accusare George W. Bush, e per certi versi anche John McCain, di aver tradito i principi conservatori per aver perseguito una politica estera espansiva e tradizionalmente democratica, ampliato la presenza sociale dello stato, aumentato il debito pubblico, salvato Wall Street e aperto le frontiere all’immigrazione clandestina. I leader di questo fronte sono i rumorosi conduttori radiofonici, l’ala populista, isolazionista e tradizionalista del partito a cui pensano di rivolgersi il presidente del Gop della Carolina del sud e il governatore Mark Sanford. Secondo Sanford, i repubblicani devono ritrovare la loro identità e smetterla di imitare i democratici: “Quella era l’idea del conservatorismo compassionevole di Bush, ed è stato un disastro”. Il rischio, ha scritto Kimberley Strassel del Wall Street Journal, è che questa voglia di ritornare alle origini trasformi i repubblicani nel partito del “no”, relegandoli all’irrilevanza come i Tory inglesi ai tempi di Tony Blair.
L’altra opzione è quella di puntare sull’anima riformatrice e moderna del partito, sull’apertura agli ispanici e agli afroamericani e su una nuova generazione di politici, come Charlie Crist, Eric Cantor e Paul Ryan, capaci di parlare non solo agli americani degli stati del sud e del mid-west, ma anche a chi vive nelle metropoli. Mitt Romney si propone come l’unico capace di unificare le due anime, ma mai sottovalutare Sarah Palin.
2 Novembre 2008