Camillo di Christian RoccaThat's it/24

New York. “Club 21”, sulla cinquantaduesima strada tra la Quinta e la Sesta Avenue, elegante e leggendario ex “speakeasy”, bar clandestino, ai tempi del proibizionismo. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga, in giacca e cravatta obbligatoria, ordina un sobrio “21’ Burger” con fagiolini, pomodoro, cipolla caramellizzata e patata arrostita. Scuote la testa, ma questa volta non per paura che Barack Obama non ce la faccia, ma per un articolo del New Yorker di Alexander Stille dal titolo “Girls, girls, girls” dedicato a Berlusconi: “Sono abbonato dal 1968, ma l’odio ideologico l’ha trasformato in Playboy, meno male che restano le vignette e le belle copertine, ma non si può volere tutto dalla vita”.
Zerlenga però vuole parlare di razza. La sua tesi è che con la presidenza Obama, ma anche se non dovesse farcela, scomparirà l’ideologia della vittimizzazione nera. “E’ un’era superata, Obama ha detto chiaramente che se non vince è perché non è stato bravo a comunicare le sue idee, non per il colore della sua pelle”. L’ipotesi che un’improbabile vittoria di John McCain possa scatenare “una seconda guerra civile”, come ha detto Erica Jong al Corriere, fa sorridere Zerlenga: “Il progresso dei neri è nei fatti, il resto è ideologia. Quarant’anni fa i miei amici neri si riunivano nelle case quando venivano a sapere che uno di loro, un nero, sarebbe apparso per un attimo in uno show televisivo, naturalmente nella parte di un cameriere. Ora i neri sono anchor tv, ed è nero il presidente di Time Warner. La Jong e Vittorio Zucconi, che scrive di ‘jihad bianco’, parlano di un mondo che non esiste e mi chiedo se sappiano che il Ku Klux Klan faceva parte del Partito democratico”.
Secondo Zerlenga, per capire l’America bisogna guardare le sit-com, più che leggere le interviste alla Jong, perché riflettono meglio di ogni altra cosa “l’evolving standards of decency that mark a maturing society” che è alla base di molte decisioni della Corte suprema: “I Jefferson, per esempio, sono degli anni Settanta e già allora mostravano una coppia di neri ricchi che viveva sulla Quinta Avenue, non in una piantagione”. Il punto, spiega Zerlenga, è che in America i bianchi sono la minoranza: “Una buona parte dei neri d’America non discende neppure dagli schiavi, perché negli ultimi trent’anni c’è stata una forte immigrazione dai Caraibi”. Non solo: “Con i nuovi studi sul dna del professor Henry Louis Gates di Harvard comincia a saltare l’ultimo tabù, si viene a sapere con certezza che molti neri hanno antenati bianchi”. Barack Obama, conclude Zerlenga, “non è un candidato multiculturale, non fa della sua razza un’identità politica. Vuole tornare all’unica identità, quella americana: we are all americans. That’s it”. (chr.ro)

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