New York. “Una pizza napoletana”, sulla dodicesima strada, all’angolo con la Prima avenue, sforna la miglior pizza di New York, una delle poche in grado di reggere in cattività il confronto con l’originale di Napoli. Franco Zerlenga, pensatore newyorchese e napoletano atipico, ordina una marinara, una Diet Coke e finisce con pezzi di cioccolato amaro. A Zerlenga brillano gli occhi di gioia immensa. Il suo Barack Obama, a cui ha dedicato pensieri, opere e denaro, è stato eletto presidente degli Stati Uniti. Ma non ha vinto solo Obama, spiega Zerlenga: “Ha vinto soprattutto una ragazza di diciotto anni del Kansas che nel 1960 aveva capito che le barriere razziali non esistono. Quei giovani che hanno votato Obama la pensano esattamente come allora sua mamma e le hanno detto we made your son the president of the United States”. Zerlenga insiste su un punto decisivo, però: “Abbiamo eletto un presidente che è nero, non un presidente nero”. Con Obama “è finita la guerra civile e la segregazione”, spiega Zerlenga, ma anche la politica fatta di identità razziali ed etniche, come dimostra la vittoria obamiana in Virginia, antica capitale degli Stati confederati, e in Nord Carolina, “dove per anni è stato eletto il più odioso e bigotto dei politici americani, Jesse Helms”. Ora, continua Zerlenga, non solo lì ha vinto Obama, ma chi al Senato aveva preso il posto di Helms, Elizabeth Dole, è stata sconfitta da una donna democratica anche perché, in difficoltà, ha cercato di usare la antiche e affidabili tattiche pseudorazziste di Helms: “Stavolta non ha funzionato, anzi è stato un boomerang”. Zerlenga considera paradossalmente un passo avanti anche il voto californiano contro il matrimonio gay. Obama, dice Zerlenga, ha fatto bene a non occuparsi dei matrimoni gay, se non per ribadire che è contrario. Quelle, secondo Zerlenga, sono questioni di cui non si deve occupare il presidente, ma ciascuno dei singoli stati. E’ il federalismo, bellezza. That’s it. Il presidente ha già l’economia e la sicurezza nazionale a guastargli il sonno: “Il successo di Obama vuol dire anche la fine della politica delle stupidaggini, la gente ha capito che ora c’è da occuparsi di cose serie: nessuno, tranne Paul Krugman, lo dice apertamente, ma siamo in Depressione”. Zerlenga racconta di aver visto file enormi di gente accodata tra la Quinta e Madison Avenue per cercare un posto di lavoro al nuovo e rinnovato hotel Pierre.
Poi, doverosamente, Zerlenga parla d’Italia e delle bizzarre reazioni nostrane al successo di Obama. Il pensatore newyorchese ha passato le notti a rispondere agli amici italiani, entusiasti come lui, ma gli ha anche ricordato che ora comincia la parte difficile e che non è così automatico che Obama abbia successo. La battuta di Berlusconi sull’abbronzatura di Obama, come conferma la tiepdida reazione sui giornali americani, a Zerlenga non pare affatto una gaffe, né un’offesa: “Dopo quindici anni non hanno ancora capito Berlusconi? – dice – Mi pare più offensivo il tentativo di Walter Veltroni di paragonarsi a Obama, quando è evidente che non possono essere più diversi, non solo per il passato, ma anche perché evidentemente Veltroni non ha letto il programma di Obama, non sa che cosa vuole fare”. Una cosa è certa, continua Zerlenga, “Obama non è pacifista, intanto perché gli americani non eleggono candidati pacifisti, poi perché il presidente della più grande potenza del mondo non può essere pacifista”. La sinistra italiana si è creata questa fantasia obamiana, spiega Zerlenga, in sostituzione di un’opposizione seria al governo Berlusconi.
Se le battute del Cav. e di W. lo fanno sorridere, è la frase di Maurizio Gasparri su al Qaida contenta per la vittoria di Obama a far imbestialire Zerlenga: “E’ Gasparri l’insulto agli italiani”, ha detto assieme a una serie di aggettivi opportunamente coperti dal bip. “Berlusconi si dovrebbe vergognare di avere uno come lui capogruppo al Senato”. Ma, aggiunge, la sinistra non è messa meglio: o ci siamo dimenticati delle accuse a Bush di favorire Bin Laden?
9 Novembre 2008