New York. “Center Cut”, su quello spicchio di 63esima che divide Broadway da Columbus Avenue, è una nuova, lussuosa e moderna interpretazione della classica steakhouse di Manhattan. Il pensatore newyorchese Franco Zerlenga, reduce da una lecture storica tenuta alla New York University sugli ebrei croati salvati dai militari italiani durante la Seconda guerra mondiale, malgrado gli ordini contrari di Benito Mussolini, ordina sei ostriche di Cape Cod, una doppia zuppa cremosa di aragosta con bignet all’erba cipollina e una “pioggerellina” di vino manzanilla, poi un piatto di asparagi sbollentati e, per finire, una banana split caramellizzata.
Zerlenga è ancora euforico per la vittoria di Obama e segnala ogni singola mossa del presidente eletto, in particolare la scelta di Greg Craig come consigliere legale della Casa Bianca, come la premessa di un futuro radioso: “Non sono innamorato di Obama – dice Zerlenga – sono felicissimo che siamo tornati a parlare di politica e a occuparci del futuro senza quei limiti ideologici che distruggono la creatività degli uomini”. A Zerlenga piace molto anche l’elezione del filo ambientalista Henry Waxman alla guida della Commissione energia della Camera, perché “la politica energetica è un elemento essenziale per il futuro del Ventunesimo secolo”. Zerlenga non si ferma un attimo di lodare Obama, la sua abilità politica, la risposta ai deliri di al Qaida, il velato avvertimento all’Arabia Saudita su Bin Laden, la bravura nell’esercitare il potere, “ovvero la capacità di far fare agli altri le cose che vorresti fare tu”, la disponibilità a lavorare con i repubblicani, la facilità con cui si libera con un semplice gesto della spalla degli attacchi personali (“in politica non c’è niente di personale”).
Zerlenga si quieta qualche attimo per consigliare un saggio di Hilary Putnam dal titolo “Pragmatism” che, dice, dovrebbe leggere chiunque crede che il pragmatismo non sia una filosofia di governo intellettuale; per invitare a leggere un libro di Annette Gordon-Reed, “The Hemingses of Monticello”, che ha appena vinto il National Book Award per la storia della famiglia nera discendente di Thomas Jefferson; per sfoderare dalla sua borsa di cuoio una copia di Moby Dick e ricordare che a gennaio, a New Bedford, si tiene l’annuale maratona di lettura per 24 ore consecutive del capolavoro di Herman Melville. Zerlenga, in passato, ha vinto tre volte, ma ora è impegnato in un progetto più ambizioso: “Manhattan è l’Inferno di Dante – dice – e proprio qui sotto c’è una statua del Poeta e un’altra si trova a Trenton, in New Jersey”. Zerlenga sta organizzando, per il 2010, una tre giorni dantesca a New York, fitta di convegni, seminari, studi internazionali e completa di maratona di lettura dell’Inferno. Sogna anche una conferenza mondiale in risposta “all’attacco alla libertà dell’occidente” che l’Arabia Saudita, complice l’Onu, ha sferrato nei giorni scorsi proponendo una legge universale che impedisca di criticare la religione.
Nessuno se ne occupa, si lamenta Zerlenga che, dopo Obama, ora spera che in Israele vinca Bibi Netanyahu, “l’unica persona seria rimasta”. Non si preoccupa del giudizio degli obamiani d’Italia che considerano il leader del Likud il male assoluto. “Sono ignoranti – dice – E non hanno ancora capito Obama, anzi se Veltroni continua a paragonarsi a lui, quindi a insultare il mio presidente, io lo querelo”.
22 Novembre 2008