New York. Hillary Clinton sta cominciando a giocare la sua partita dentro la prossima Amministrazione Obama, approfittando della decisione del presidente eletto di tenere il suo vice, e gaffeur in capo, Joe Biden a distanza di sicurezza dalle questioni più delicate, a cominciare da quelle di politica estera. A poco meno di un mese dall’insediamento di Obama, l’ex first lady è in piena attività, crea la sua squadra, prova a conquistare spazi dentro l’Amministrazione, candidandosi di fatto al ruolo di numero due, e si prepara alla procedura di conferma della nomina a segretario di stato, che spetta al Senato.
I suoi piani sono stati svelati dal New York Times di ieri. Hillary ha scelto, anche se formalmente la decisione è di Obama, i suoi due vice al dipartimento di stato. Il primo è il nome che tutti si aspettavano: James Steinberg, ex funzionario del Consiglio di sicurezza nazionale di Bill Clinton, già capo di quel centro di studi mediorientali della Brookings Institution che nel 2002 ha convinto l’America liberal dell’opportunità di invadere l’Iraq e di cambiare il regime nazionalsocialista del Baath. Rettore della Lyndon Johnson School di Affari pubblici all’Università del Texas di Austin, Steinberg è sostenitore della tesi che “sarebbe un errore se l’intero concetto di guerra preventiva fosse abbandonato” e ha un profilo che conferma in pieno l’idea di risolutezza clintoniana negli affari di politica estera.
La seconda scelta di Hillary (e di Obama) è quella che segnala l’intraprendenza del prossimo segretario di stato e il suo tentativo di svolgere nell’Amministrazione un ruolo più grande rispetto a quello che hanno avuto Colin Powell e Condoleezza Rice durante i due mandati di George W. Bush. Clinton, infatti, ha scelto Jacob J. Lew come suo secondo vice. Lew ha un profilo economico e finanziario, non di politica estera.
Già direttore dell’ufficio del bilancio alla Casa Bianca di Clinton e tra i massimi dirigenti della banca Citicorp, Lew avrà il compito di aumentare la fetta dei finanziamenti che il governo federale riserva al corpo diplomatico, ma anche quello di seguire l’evoluzione della crisi finanziaria planetaria. Hillary è consapevole che la crisi economica sarà uno dei punti centrali della politica estera e, per questo, sta cercando di strappare al Tesoro competenze, e vetrina, a favore del suo dipartimento di stato.
Dovrà vedersela con il generale Jones
Sul fronte più strettamente della politica estera e di sicurezza nazionale, il piano di Hillary è quello di rafforzare il ruolo di Foggy Bottom, sottraendo spazi al Pentagono che negli anni di Bush ha spesso avuto il sopravvento. Hillary può contare su un segretario al Tesoro, Timothy Geithner, un esperto di mercati che non sembra attrezzato a competere politicamente con l’ex first lady, e su un segretario alla Difesa, Bob Gates, che mostra di essere favorevolissimo a lasciare ai diplomatici la gestione della politica estera. Gli ostacoli principali per Hillary saranno alla Casa Bianca, in attesa di capire se Obama vorrà lasciar correre o meno. Il vicepresidente Joe Biden, intanto, era stato scelto proprio per la sua esperienza di politica estera e, per quanto ha spiegato che intende il ruolo di numero due in modo opposto a quello attivo e militante di Dick Cheney, sarà difficile che abdichi del tutto. Hillary dovrà vedersela soprattutto con l’ex generale Jim Jones, il consigliere per la sicurezza nazionale di Obama. Jones e Hillary sono amici, ma Jones ha il compito di coordinare, dalla stanza accanto a quella del presidente, la politica estera e di sicurezza degli Stati Uniti.
Clinton, d’accordo con Obama, pensa di usare gli inviati speciali, in medio oriente, in Pakistan e magari in Iran. I nomi che circolano solo quelli di clintoniani doc come Richard Holbrooke, di esperti bipartisan come Dennis Ross e anche di Bill Clinton.
Hillary intanto per facilitare il processo di conferma della sua nomina al Senato ha fatto pubblicare l’elenco dei finanziamenti milionari versati da governi stranieri alla fondazione di suo marito Bill. E, inoltre, ha dovuto accettare una riduzione dello stipendio, per rispetto di un’antica clausola costituzionale che vieta l’entrata al governo a un senatore che, come è capitato a lei un paio d’anni fa, ha votato a favore di un aumento della paga per un membro del gabinetto. Un’inezia, rispetto ai debiti di quasi sei milioni e mezzo di dollari creati dalla sua campagna elettorale e ancora in sospeso. Senza considerare che, proprio lunedì, Hillary ha deciso di cancellare il prestito da oltre 13 milioni di dollari che aveva fatto alla sua fallita campagna presidenziale.