New York. Barack Obama vuole combattere la crisi economica con una gigantesca riduzione delle tasse a tutti gli americani, adottando la più tradizionale delle ricette fiscali liberiste e reaganian-bushiane. Il piano di Obama, preparato insieme con i leader democratici del Congresso di Washington, sarà presentato con un grande discorso pubblico in settimana e prevede tagli di tasse a favore degli individui, delle famiglie e delle imprese per un totale di circa 310 miliardi di dollari. La cifra costituisce il 40 per cento del pacchetto da 775 miliardi di dollari di stimolo all’economia che il presidente eletto vorrebbe fosse approvato entro metà febbraio, se non prima.
La riduzione delle tasse contenuta nel piano Obama, svelato domenica, è superiore a qualsiasi previsione, al punto che gli esperti dei centri studi liberal e centristi, come la Brookings Institution, sono rimasti sorpresi. Il premio Nobel Paul Krugman, liberal e certamente non un tifoso della riduzione delle tasse, ha scritto un post allarmato, sul blog ospitato dal New York Times, per chiedersi se Obama non si stia affidando troppo alla leva fiscale. Obama aveva fatto campagna elettorale proponendo la riduzione delle imposte al 95 per cento degli americani. L’offerta è apparsa credibile e Obama ha sottratto ai repubblicani la loro più formidabile arma elettorale, malgrado gli avversari avessero provato a definirlo “socialista”. Allo stesso tempo, per andare incontro all’ala progressista del suo schieramento, Obama aveva promesso di cancellare i tagli fiscali decisi da Bush per i più ricchi, ovvero per chi guadagna più di 250 mila dollari l’anno. Subito dopo la vittoria del 4 novembre, Obama però aveva cambiato idea, spiegando che, a causa della crisi economica, avrebbe potuto decidere di lasciar scadere i tagli fiscali di Bush, alla fine del 2011.
Oggi, alla conferma della politica fiscale di Bush, adottata nel 2001 per uscire dalla recessione e confermata dopo il caos post 11 settembre, Obama ha aggiunto la sua nuova proposta per il 2009 che è addirittura superiore, su base annua, alle contestatissime misure di Bush: riduzioni fiscali per 310 miliardi di dollari, contro i 174 di Bush nei suoi primi due anni.
L’interpretazione politica, lasciata trapelare dagli uomini di Obama ai giornalisti, è che il presidente eletto voglia ottenere un consenso bipartisan sul suo piano di rilancio economico che prevede investimenti federali per il restante sessanta per cento dei 775 miliardi di dollari. I conservatori al Congresso sembrano più liberi di esprimere il loro dissenso all’intervento pubblico, ora che il presidente repubblicano è sulla via d’uscita dalla Casa Bianca. I democratici, in teoria, potrebbero fare da soli, forti della grande maggioranza conquistata alle scorse elezioni, ma Obama vuole assolutamente coinvolgere l’opposizione e confermare il suo status di presidente unitario. Qualunque sia il motivo della scelta obamiana, resta il fatto che per rilanciare l’economia il suo team economico abbia deciso di puntare sulla riduzione delle tasse, oltre che su un piano di rinnovamento delle infrastrutture.
Gli uomini del presidente si coprono e provano a spiegare che i loro tagli fiscali non sono il prodotto di un’ideologia, come si dice di quelli proposti dalla destra liberista, ma che piuttosto si basano sulla prova empirica di ciò che ha funzionato nel passato. L’obiettivo di Obama è di stimolare i consumi e di far crescere i posti di lavoro nel settore privato o, perlomeno, di evitare ulteriori licenziamenti. La gran parte dei benefici fiscali, così come è stato fatto da Bush all’inizio del 2008, andrà a individui e famiglie che pagano tasse sul reddito e trattenute sugli stipendi e, al momento, non pare che ci saranno eccezioni per i redditi più alti. Il piano di Obama aiuterà anche le imprese che assumeranno nuovi lavoratori o che rinunceranno a licenziare.
6 Gennaio 2009