Washington. Barack Obama è entrato nello Studio Ovale alle 8,35 di ieri mattina e, dopo aver letto la lettera privata che George W. Bush gli ha lasciato sulla scrivania (“per 44 da 43”), ha cominciato il suo primo giorno di lavoro alla Casa Bianca. Dopo la tradizionale cerimonia religiosa alla Cattedrale, il neo presidente ha firmato un paio di decreti, ma non quello sulla chiusura di Guantanamo, e s’è occupato di economia e di sicurezza nazionale, anche se la squadra non è ancora a pieno servizio. Tim Geithner e Hillary Clinton, scelti per guidare la politica economica ed estera, ieri mattina erano ancora in attesa della conferma del Senato, mentre lo staff della Casa Bianca ha trascorso le prime ore della giornata a sistemarsi nei nuovi uffici (non ha ancora gli indirizzi e-mail ufficiali e, per legge, non può comunicare con la posta elettronica privata).
Obama ha cominciato con l’economia, ma in mattinata ha parlato anche con il presidente palestinese Abu Mazen, il premier israeliano Ehud Olmert e altri leader della regione. Alle quattro e un quarto ha riunito per un’ora nella Situation room il gabinetto di guerra, con i vertici militari e i suoi principali consiglieri di sicurezza nazionale, compresi il vicepresidente Joe Biden, il segretario alla Difesa Bob Gates, il presidente del Joint Chiefs of Staff Mike Mullen e il generale David Petraeus, arrivato in nottata dall’Afghanistan. In collegamento da Baghdad e Kabul c’erano i generali Ray Odierno e David McKiernan. In campagna elettorale Obama aveva detto che avrebbe dato una nuova “mission” ai militari, ma ieri è stato il giorno della discussione strategica. Petraeus è impegnato in un’ampia revisione dell’approccio americano nella regione, dall’Iraq all’Afghanistan al Pakistan. La situazione irachena è quella più fluida, anche se Obama deve trovare un modo per conciliare la sua promessa di uscire dall’Iraq in sedici mesi con il rispetto del protocollo d’intesa tra Stati Uniti e Iraq che prevede il rientro delle truppe americane entro la fine del 2011. Più complicata è la situazione in Afghanistan, il paese che nella visione obamiana è il cuore della guerra al terrorismo. Il rapporto Petraeus è previsto per la fine del mese e la speranza è che il generale riesca a trovare una formula capace di cambiare la situazione sul campo, come è successo con il “surge” in Iraq. Obama è convinto che sia necessaria un’ampia soluzione regionale, un miglior coordinamento tra gli americani e la Nato e anche una leadership afghana meno corrotta di quella attuale. Petraeus è d’accordo, sostengono varie fonti. Richard Holbrooke, veterano delle guerre clintoniane, dovrebbe essere l’emissario nella regione, mentre l’inviato speciale per il medio oriente sarà l’ex senatore George Mitchell, ex leader della “Mitchell commission” che nel 2001 ha presentato a Bush un rapporto sul conflitto israelo-palestinese.
Tra gli obamiani, ha svelato Judith Miller su Daily Beast, comincia però a circolare il timore che l’Afghanistan possa diventare l’Iraq di Obama, in mancanza di una strategia chiara, di una definizione precisa degli obiettivi politici e di una via d’uscita militare. Un analista della Cia, Bruce Riedel, sta valutando per conto del presidente le varie opzioni a disposizione e, in particolare, l’ipotesi di una maggiore pressione sui servizi pachistani. Il vicepresidente Biden è stato in Afghanistan e in Pakistan per valutare di prima mano la situazione. Biden, anche in previsione dell’invio a Kabul di altri 30 mila soldati americani che presto potrebbero più che raddoppiare, ha detto che è molto probabile che la situazione possa peggiorare prima di migliorare, a cominciare dal numero delle vittime americane. Obama, infine, ha deciso di fermare per 4 mesi i processi contro i 21 detenuti di Guantanamo, in attesa di studiare una soluzione giuridica alternativa. Ma cinque prigionieri, compreso l’ideatore dell’11 settembre Khalid Sheikh Mohammed, si sono opposti e hanno chiesto di essere condannati a morte per continuare il loro jihad. Il decreto di chiusura del carcere dovrebbe essere firmato tra oggi e domani, ma per l’effettivo smantellamento ci vorrà un anno.
22 Gennaio 2009