New York. L’Economist è uno dei migliori giornali del mondo: intelligente, vivace, accurato. La sua copertura degli Stati Uniti è eccellente. Quando si occupa d’Italia, però, è un giornale meno accurato, si nota il tradizionale sopracciglio alzato dei britannici e gli capita di scadere nella caricatura pizza e mandolino (del resto ha avuto come corrispondenti Beppe Severgnini e Tana de Zulueta). L’Economist detesta Silvio Berlusconi, ma nel farlo in modo così palese conferma di essere un grande giornale, uno di quelli capaci di prendere posizioni forti e senza ipocrisie di spiegare perché. Non è tenero nemmeno con l’opposizione di centrosinistra, né ora né quando era al governo.
Ai tempi in cui Romano Prodi presiedeva la Commissione europea, il settimanale era ferocissimo e accusava l’ex premier di addormentarsi durante le riunioni e di non essere quasi mai in pieno controllo dei dossier. Il pregiudizio anti italiano dell’Economist è sotto gli occhi di tutti, anche di chi è consapevole della situazione “irredimibile” (copyright Leonardo Sciascia) del nostro paese. Ma è l’ossessiva attenzione nei confronti di Berlusconi, ribadita in un editoriale sull’ultimo numero, a confermare che la prestigiosa rivista quando parla del Cav. perde il filo della ragione.
Questa volta, e va a suo merito, l’Economist non si è affidato al giustizialismo alla Travaglio, ma ha scelto l’analisi seria per commentare la nuova era berlusconiana. Il settimanale ha ricordato che nel 1994 aveva subito chiesto le dimissioni di Berlusconi da Palazzo Chigi e che nel 2001 aveva pubblicato la famosa copertina sulla sua inadeguatezza a guidare l’Italia. Ora l’Economist riconosce la forza politica del premier italiano, l’assenza di un’opposizione credibile e l’inusuale crescita di consensi popolari malgrado la disastrosa situazione economica.
Ciò che all’Economist non piace è il fatto che il Cavaliere non stia usando la sua “muscolatura politica” per riformare il paese. Su questo, l’editoriale è convincente e ha molte ragioni da far valere. L’Italia, scrive il settimanale, ha un bisogno disperato di riforme, a cominciare dalla deregolamentazione dei mercati e del lavoro. L’istruzione è messa male, la spesa per la ricerca è bassa. L’Economist riconosce che Berlusconi ha fatto alcune cose buone: la fine dell’emergenza rifiuti a Napoli, le bordate alla pubblica amministrazione e alla scuola e in un certo senso anche l’avvio della riforma del sistema giudiziario. In verità anche tre anni fa, prima delle precedenti elezioni, la rivista aveva riconosciuto che la riforma del mercato del lavoro (la legge Biagi) e quella delle pensioni erano un ottimo risultato ottenuto dal governo “unfit”.
Il punto è esattamente questo: le poche o tante cose buone che, secondo l’Economist, i governi Berlusconi hanno fatto sono quelle che le varie coalizioni antiberlusconiane che si cibano dei suoi articoli hanno cercato di osteggiare di più. L’Economist può anche avere ragione a pensare che Berlusconi non sia “né un riformatore liberale né un sincero seguace della competizione”, ma l’analisi diventa la parodia di un’analisi se non dà un’occhiata alle proposte dello schieramento opposto. Quando, giustamente, l’Economist scrive che “se solo Berlusconi facesse di più per sciogliere le catene agli imprenditori italiani, i risultati potrebbero essere sensazionali” dovrebbe rendersi conto di quale sarebbe la reazione allo “scioglimento delle catene agli imprenditori” da parte dello schieramento antiberlusconiano, quello che secondo il settimanale londinese sarebbe più “fit”.
I giornalisti dell’Economist evidentemente non sanno cosa sia la Cgil, non sospettano minimamente che, con quei sindacati della scuola e dell’impiego pubblico che finanche loro riconoscono che Berlusconi abbia fatto bene a “scuotere”, è la principale base sociale ed elettorale rimasta del centrosinistra. Il conflitto di interessi renderà Berlusconi anche “unfit” a guidare l’Italia, ma se le parole hanno un senso e gli editoriali una logica, l’Economist in realtà sta dalla parte di Berlusconi.
Christian Rocca
5 Maggio 2009