L’altra sera sono andato a cena con un mio vecchio compagno di classe, interista. Si chiama Gaetano e lo vedo di rado, malgrado ai tempi fossimo molto legati. Lui sta in Sicilia, io a New York. Quando ci rivediamo sembra di tornare indietro nel tempo, ma stavolta sono rimasto di sale.
Seguitemi. Al liceo, i lunedì mattina erano dedicati agli sfottò calcistici ovvero a quella meravigliosa disciplina che consiste nel prendere in giro i severgnini, cioè i tifosi della seconda squadra di Milano. In fondo, oggi come allora, il calcio moderno non è altro che lo sport in cui ventidue persone giocano a pallone e poi alla fine l’Inter perde. E’ vero – come non dimentica mai di scrivere il giornale rosa che si trova sui banconi dei gelati nei bar dello sport – negli ultimi anni gli indossatori di scudetti altrui hanno vinto tutto, ma proprio tutto, anche se a tavolino, a tavaroli, senza avversari e grazie ai giocatori regalati dalla Juventus.
Ai tempi, però, Gaetano poteva sperare solo in Spillo Altobelli, magnifico calciatore in particolare quando diceva “ahò, er colpo sotto l’ho inventato io”, e forse era anche vero. Per il resto la sua squadra era un disastro, visto che aveva dirigenti che scartavano Falcao per questioni astrali e Michel Platini perché pensavano fosse infortunato. Il dramma, per i severgnini di allora e per il mio compagno Gaetano, era che per rimediare a questi errori grossolani i dirigenti interisti cercavano all’infinito calciatori simili a quelli inopinatamente scartati. Nel ruolo di Falcao: Prohaska, Scifo, Sforza, Vampeta e chiunque fosse più lento di una Fiat Duna.
Nel ruolo di Platini, per anni l’ossessione è stata quella di azzeccare un numero 10 creativo, ma per non sembrare rosiconi rispetto alle magie che regalava Roi Michel hanno preferito puntare sui mancini (un po’ come di recente con Roberto, il figlio di Roberto e Amantino). E così – scartato Platini, anche perché loro avevano il Becca – sono arrivati in rapida successione Liam Brady, fresco vincitore di due scudetti a casa nostra, Hansi Muller, Ludo Coeck, fino ad Alvaro Recoba, il giocattolo più costoso mai prodotto dall’industria del divertimento moderno.
C’è stata la parentesi Lothar Matthaeus e dei tedeschi, ma in quel caso i dirigenti si erano direttamente affidati all’allenatore della Juventus Giovanni Trapattoni e, in fondo, è stata soltanto un’eccezione. Poi, in seguito, il Milan giocava e vinceva con gli olandesi, e i severgnini arrancavano con Jonk e Bergkamp e Van Der Meyde. La Juve dominava con i francesi e loro si buttavano su Djorkjeff, naturalmente preferito a Zidane, su Dalmat e su Cauet. A un certo punto si sono buttati sugli argentini genere Avioncito Rambert e non ne sono mai più usciti, infatti fino all’altro ieri insistevano sul “lucido”, parola di Beppe Bergomi, Burdisso, detto anche “due fisso”.
Tutto ciò non mi ha consentito soltanto una gioventù spensierata – allietata da due, non una sola, gioia domenicale: la vittoria della Juve e la sconfitta dell’Inter – ma anche di continuare a prendere in giro il mio amico Gaetano. Lui, una volta ogni lustro, come quando perdemmo una o due finali di Champions, si sentiva in dovere di replicare via sms (nel frattempo li avevano inventati).
In questo delirio grottesco, due anni fa c’è stata un’eccezione. I nerazzurri hanno scoperto di avere un giocatore fenomenale, uno dei pochi della loro storia che davvero mi abbia emozionato. Parlo di Mario Balotelli. Io credo sia un giocatore fantastico, per capirci diciamo “non da Inter”. Io l’avrei portato di corsa agli Europei, altro che Quagliarella (questo sì, invece, da Inter).
A cena, l’altra sera, ho detto a Gaetano che Balotelli era in vacanza a Castellammare del Golfo, a poche centinaia di metri da dove stavamo mangiando gli involtini di pesce spada. Ma il mio amico interista ha fatto una faccia strana. Ed è rimasto in silenzio. Dopo qualche secondo ho capito che non aveva idea di chi fosse Mario Balotelli: “Ma come, non sai chi è Balotelli?!?”. No, il mio amico interista, compagno di epiche battaglie verbali e che inviava sms perfidi dopo il gol di Mijatovic (peraltro in fuorigioco) in finale di Champions, non sapeva chi fosse Balotelli. Non l’aveva mai visto né giocare né nominare.
Gaetano non è stato malato. Non si è rifugiato in una caverna, non ha partecipato all’Isola dei Famosi. No. L’interista Gaetano, da vero sportivo, ha deciso di non seguire più il calcio a causa di Calciopoli. Non per le partite rubate, che non ci sono state. Non per i risultati aggiustati, che non si sono visti. Non per i sorteggi truccati, che sono stati esclusi anche dalle sentenze.
No, il mio amico interista ha detto addio al calcio e si è perso il comico ciclo vincente della sua squadra del cuore perché è una persona seria, disgustata dalla retorica sull’onestà che ribalta i risultati legittimamente conquistati sul campo e tutto quanto il resto. Il vero tifoso di calcio è lui, il mio compagno Gaetano.
Ho pensato di raccontare questa storia, perché in questi anni di calciopulitopoli ho conosciuto un altro vero tifoso di calcio: Massimo Zampini, in arte “Er go’ de Turone”. Averlo incontrato, attraverso le esilaranti e intelligenti cose che leggerete in questo libro, “Er go’ de Turone – Diari di uno juventino a Roma – credo sia una delle poche cose buone, assieme alla vittoria juventina della Coppa del mondo 2006, capitate al circo del pallone da quando qualcuno ha deciso di falsare i campionati regolari.
Non lo ricorda mai nessuno, ma il titolo vinto a tavolino dagli indossatori di scudetti altrui riguarda una stagione sportiva perfettamente regolare e non oggetto di indagini giudiziarie. Gli altri campionati, invece, sono stati vinti senza avversari o con i giocatori scippati alla squadra che, secondo i Torquemada del calcio, in passato avrebbe vinto solo rubando. A ricordarlo – e anche a sottolineare le fantozziane responsabilità della stessa Juventus, la comicità dei giornali fiancheggiatori e l’arci-italianità dei moralisti senza morale – ci ha pensato con leggerezza, ironia e passione Massimo Zampini, geniale già dal nickname che si è scelto, “Er go’ de Turone”, perfetto per sintetizzare il modo piagnone e complottisico e antisportivo di vivere il calcio. Con questo libro, Massimo dimostra tutto il suo amore per il football giocato. E sono certo che, come me, anche lui si augura che Gaetano possa presto ammirare le accelerazioni di Balotelli. Specie se a Torino tornasse qualcuno capace di prenderlo in cambio di Carini.
Christian Rocca
25 Agosto 2009