Nessuna delle 140 voci che lavorano nelle cinque radio private più ascoltate è nata dopo il 1985. Chi si occupa della crisi della tv generalista dovrebbe riflettere su questo dato. L’ostilità delle voci storiche e l’inesperienza di quelle più giovani non ha scalfito la credibilità della radio. Oggi i giovani speaker crescono negli atenei universitari. Con loro ha provato a confrontarsi Nikki. Nelle scorse settimane il dj di Radio Deejay ha trasmesso in quattro università: Torino, Padova, Salerno e Perugia. Con lui c’erano le voci delle web radio universitarie. Insieme hanno lavorato per R.U.F.U.S., il programma di Deejay Tv. Sul sito del network si possono trovare le puntate trasmesse. Mercoledì 13 aprile, alle 21.00, andrà in onda quella realizzata a Salerno. A Teardrop Nikki ha spiegato perché è nato R.U.F.U.S.
L’anno di riferimento di Teardrop è il 1998. Cosa ti ricordi di quel periodo?
In quegli anni ho cominciato a sentire delle cose che non erano esattamente rock ma di cui capivo una mega potenza. Tutte quelle cose che arrivavano dall’Inghilterra molto ipnotiche, con dei bassi mega profondi, magari un po’ più lente. Me le sono stragodute.
Quale canzone ti rappresenta?
Quando hai incontrato le web radio universitarie?
Due anni fa ho partecipato al raduno che fanno tutti gli anni. Io ero molto incuriosito da questo fenomeno. Onestamente lo conoscevo poco. Questo incontro mi ha fatto un bell’effetto perché io tradizionalmente non arrivo dalla radio. Io alla radio ci sono arrivato per caso. Per tanti anni io ho scoperto la radio mentre la facevo.. Vedere tutta questa gente giovane, tra i 19 e i 25 anni, così presa bene per la radio mi ha dato tanto. Loro hanno molta più spontaneità di tanta gente che lavora in radio. Mi ha dato anche un po’ di fiducia.
Come nasce R.U.F.U.S.?
Mi è stato proposto di fare un programma di musica dal vivo. Questa era la formula iniziale che si ispirava al Tropical Pizza di qualche anno fa serale dove io aveva questa specie di gruppo resident che cercava di volta in volta di fondersi a degli ospiti. L’idea era quella di avere musica dal vivo ma di creare una specie di incontro. Voleva essere una jam. A me l’idea dello studio televisivo a Cologno Monzese non è che affascinasse molto. Avendo già in ballo questa cosa con le web radio universitarie ho pensato di fare dei live negli spazi che non accolgono concerti: androni, mense. Ho rilanciato e ho proposto di fare dei live nelle università. Questi concerti sono stati anche delle occasioni per approfondire, per quanto possa approfondire un programma tv, la realtà dell’università. In questi mesi nessuno ha fatto vedere le tante cose belle che succedono attorno alle università.
Per esempio?
A Salerno abbiamo conosciuto un ragazzo che studia fisica nucleare e fa una specie di Quark su una web radio. In un’altra università abbiamo conosciuto un ragazzo che insieme al suo professore, che suona la fisarmonica, ha una macchina alimentata da impianto ibrido. Questo apparecchio utilizza l’energia prodotta dai pannelli solari e un motore elettrico.
Per il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia hai trasmesso tre ore di musica italiana. Ne esiste ancora di nuova?
Secondo me la musica italiana è molto viva. Se vai a cercare c’è proprio tanta roba fighissima. A Perugia siamo andati a vedere un concerto di questo gruppo che si definisce indie-rock da salotto. Fa concerti senza amplificazione. Scelgono dei posti piccoli e si basano tutti sul rispetto dell’utenza. Suonano l’arpa, la chitarra classica e il violino. Tutti stanno zitti e si godono la musica.
Oggi cosa fai grazie alla tecnologia?
Compro la musica e la metto sull’ipod. Leggo una notizia su un blog di un gruppo, magari australiano, che mi piace e compro l’album prima che esca nei negozi di Milano. La tecnologia ha cambiato anche la radio. Facebook, sms e email ti permettono di interagire meglio con gli ascoltatori. Una volta eri fortunato se ti arrivavano cinque fax.
Quale canzone rappresenta il futuro?