Barack Obama, I sogni di mio padre, Nutrimenti 2007
Con l’imprevedibile uccisione di Bin Laden ieri, Barack Obama ha probabilmente rimosso in un sol colpo tutti i dubbi, le accuse e le voci messe in giro ad arte dalla “macchina del fango” che in America ha preso velocità con l’approssimarsi delle elezioni nel 2012. Ovviamente gli effetti del “fango” in America sono amplificati da un’opinione pubblica molto meno tollerante verso chi devia dalle regole che non quella nostrana: negli USA, ad esempio, un’accusa di sfruttamento della prostituzione minorile o di conflitto d’interessi avrebbero fatto saltare la poltrona presidenziale ben prima delle elezioni. Ma per Obama lo stillicidio di voci sulle sue origini “non americane” e sulla reputazione del padre kenyota avrebbe potuto seriamente danneggiare il Presidente, già penalizzato dagli effetti della crisi finanziaria scoppiata pochi mesi dopo la sua vittoria elettorale. Questione delle origini rimossa dunque, grazie a Osama? Fortunatamente no.
Le origini di Obama, per come, nella loro peculiarità, hanno plasmato la personalità dell’uomo che governa la più grande democrazia mondiale, sono una chiave fondamentale per comprenderne l’ operato. E sono al centro di questa prima autobiografia, in cui Obama ricorda, con un bel stile asciutto ma non scevro da ironia e persino un tocco di poesia, la sua infanzia nelle Hawaii e in Indonesia, gli anni da studente universitario a Los Angeles e New York, il primo lavoro come community organizer a Chicago, il”ritorno a casa” in Kenya. Ma attenzione: Dreams from my father è stato pubblicato nel 1995, ben tredici anni prima che Obama fosse eletto Presidente. Non si tratta quindi di un “testamento” politico (come L’audacia della Speranza scritto nel 2006 quando Obama era senatore dell’Illinois) né di una risposta a coloro che hanno ostacolato l’ ascesa del primo Presidente nero. Questo libro è una riflessione molto personale, a volte sorprendentemente visionaria, mai retorica, sulla propria identità, sulla propria appartenenza – o meglio, non appartenenza – da parte di un trentenne mulatto, la cui vita si è sviluppata in un delicato equilibrio fra razze, nazioni, classi sociali, famiglie. Al di là del colore della pelle, Obama porta con sé un’ inedita mescolanza di visioni, filosofie di vita, fedi religiose, culture come nessun altro Presidente degli Stati Uniti. Ha scelto (perché di scelta si è trattato, come emerge dal libro) di non tornare a vivere nell’Africa dei suoi avi, ma di essere un afro-americano fra gli afro-americani, un nero fra i neri, un avvocato a favore degli abitanti delle periferie, un cristiano battista , un marito e un padre. A trent’anni, dopo molto interrogarsi e non poca sofferenza, Obama ha dunque optato per un mondo ben preciso. Ma visto lo speciale mix di “appartenenze” che ha caratterizzato la sua vita fino ad allora, la sua visione dei problemi non può che essere diversa – più sfaccettata, più disponibile alla mediazione, meno ideologica – da quella di chi è vissuto in un ambiente stabilmente monoculturale come gli altri Presidenti.
Rivelatorie queste sue parole a proposito del diritto, cui si dedicò prima di entrare in politica: Lo studio del diritto può essere deludente a volte: si tratta di applicare regole rigide e procedure arcaiche a una realtà non cooperativa ; una specie di contabilità glorificata che regola gli affari di coloro che hanno potere – e che molto spesso cerca di spiegare a quelli che il potere non ce l’hanno l’inevitabile saggezza e correttezza della loro condizione. Ma la legge non sta tutta qui. E’ anche memoria; è anche il resoconto di una conversazione che continua negli anni, una nazione che discute con la propria coscienza (la traduzione è mia).