La sicurezza informatica di un intero Paese nelle mani di ottanta persone. Un vero e proprio “cyber commando” che ha il compito di vigilare sulle reti di passaggio dati d’Israele ventiquattrore su ventiquattro. Sempre pronti ad affrontare gli hacker e a difendere l’economia e la logistica. «Chissà perché questa nazione senta il bisogno di formare un team difensivo», s’è chiesto sarcastico più di un esperto. «Forse perché negli ultimi mesi Gerusalemme ha dato il via alla maggior parte degli attacchi informatici nel Medio Oriente?». Il caso più eclatante, senza andare troppo indietro con la memoria, è quello del virus “Stuxnet” che ha paralizzato l’Iran e che pare sia stato inviato dallo Stato ebraico.
E allora. A raccontare al mondo l’esistenza del “National cybernetic taskforce” tutto interno al governo è stato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Che ha evidenziato come l’iniziativa abbia come unico scopo quello di difende e non attaccare. Forse a rassicurare alcuni paesi – Iran in testa – sulle reali intenzioni dell’unità. Soprattutto: nei prossimi anni avrà a disposizione decine di milioni di dollari per difendere ad ogni costo l’infrastruttura informatica della nazione.
Il nuovo team, per ammissione dello stesso Netanyahu, non si occuperà solo di difesa. «Sarà il tramite tra le necessità di sicurezza del Paese, il bisogno di sviluppare ulteriormente l’industria cibernetica e le esigenze accademiche», ha continuato il leader del partito di destra “Likud”. Parole che, a Teheran come a Gaza City, a Beirut come al Cairo, sono sembrate solo l’inizio di un’offensiva in grado di bloccare le economie di interi paesi.