La società Occidentale è la società che per la prima volta, nella storia umana, ha sconfitto la povertà di massa. Ma la prosperità non è stata, non è diventata e non è, sinonimo di felicità.
La promessa del capitalismo di emancipare l’individuo fino alla conquista del tempo non è stata mai realizzata.
Il tempo non è stato liberato, anzi.
Più reddito, più benessere materiale, non equivalgono affatto a più felicità.
Il Pil non racconta le nostre nuove povertà, oltre quella economica o il reddito registrato in busta paga quando c’è: siamo più poveri di tempo, spazio, relazioni, qualità di vita.
Qualcosa non funziona, non ha funzionato e potrebbe ancora non funzionare se non ci sarà una seria inversione di rotta.
L’idea di misurare quanto la felicità sia diffusa nelle varie nazioni è venuta a Nic Marks, un ricercatore del Nef (The New Economic Foundation) di Londra, con una laurea in management, una passione per le statistiche, la psicologia umana e l’ambiente.
Il suo Indice di Felicità del Pianeta (IFP) individua il benessere nazionale rispetto all’uso delle risorse, perché una vita felice non deve costare alla Terra, perché non può esistere una happy life senza un happy planet.
Per calcolare il grado di sostenibilità Marks utilizza il concetto di impronta ecologica, che mette in rapporto il consumo umano delle risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarsi.
Il vero obiettivo dell’Hpi, calcolato su 143 Stati, è stabilire, insomma, quali paesi raggiungono la meta senza abusare e stressare le risorse naturali del pianeta.
Ne si ricava che le nazioni normalmente considerate all’apice dello sviluppo hanno un’alta aspettativa di vita e una buona qualità della vita, ma un’impronta ecologica talmente elevata da farli precipitare in fondo alla classifica.
In cima alla classifica compare la Costarica.
Per capire da dove ripartire, Marks, in un recente discorso durante Ted Oxford (http://www.ted.com/talks/lang/ita/nic_marks_the_happy_planet_index.html ) non ha risparmiato una critica diretta al movimento ambientalista (di cui fa parte), che finora ha, a suo parere, offerto una visione troppo apocalittica del futuro, basata su esempi drammatici per catturare l’attenzione del pubblico.
I suoi propositi si traducono, invece, in cinque azioni positive da esercitare tutti i giorni per essere felici: essere in relazione con gli altri e influenzarsi positivamente e reciprocamente, fare attività fisica, guardarsi in giro e “allungare le antenne”, continuare a imparare e a nutrire la curiosità. Infine, troviamo le attività più antieconomiche che esistono, ma ad alto potenziale di gioia: la generosità, l’altruismo e l’empatia.
E se è vero che in ogni angolo del mondo, dal Bhutan all’Inghilterra, i leader delle nazioni oggi dibattono sulla revisione del Pil come indicatore della qualità della crescita, il 36enne presidente della Provincia di Pesaro e Urbino, Matteo Ricci ha giocato d’anticipo e con al fianco Istat, Upi (Unione delle Province d’Italia), Regione Marche, Fondazione Carisp Pesaro e Università di Urbino, ha organizzato il Primo festival della felicità della Provincia di Pesaro e Urbino, in programma dal 27 maggio al 5 giugno.
Un grande evento che avrà due anime: la prima economica-sociale, che si estrinsecherà nel dibattito sul nuovo modello di sviluppo.
La seconda sarà più culturale. Si indagherà la felicità in tutti i sensi, in modo innovativo e sorprendente.
Intanto sociologi, poeti, artisti, giornalisti, economisti, sportivi e politici hanno già confermato la loro presenza a un appuntamento che avrà nello spettacolo di Roberto Benigni l’evento clou.