Diario americanoL’università, il drammaturgo, e il diritto di critica a Israele

C’è una grande istituzione, CUNY, la maggiore università di New York, che nega il diploma onorario a Tony Kushner. C’è un grande drammaturgo, Kushner appunto, che si vede lanciare contro l’accusa p...

C’è una grande istituzione, CUNY, la maggiore università di New York, che nega il diploma onorario a Tony Kushner. C’è un grande drammaturgo, Kushner appunto, che si vede lanciare contro l’accusa più infamante: quella di antisemitismo. C’è il mondo intellettuale e politico della città che prende posizione: da una parte o dall’altra. L’affaire Kushner, da giorni al centro di commenti e polemiche, va a toccare alcune delle corde più profonde della società americana: libertà d’espressione, potere dei soldi, ebraismo e rapporti con Israele.
La storia inizia un giorno di tarda primavera, quando la facoltà di CUNY stila la lista delle 40 personalità cui verrà assegnato un diploma onorario durante il commencement, la cerimonia di laurea di fine anno. Tra i 40 c’è anche Tony Kushner, l’autore di “Angels in America”. Il riconoscimento non fa particolare notizia. Kushner è uno dei grandi nomi dell’intellighenzia americana. Lui è gay, ebreo, militante per i diritti civili. I suoi testi sono una rappresentazione straordinaria e poetica dell’America contemporanea.
La lista dei premiati deve però passare, per il via libera finale, attraverso il consiglio di amministrazione dell’università. Un passaggio di solito pro-forma. Nessuna decisione della facoltà è mai stata bocciata dal CdA, i cui membri sono stati particolarmente lodati, in questi anni, per aver portato prestigio e forza economica. Oggi CUNY è la maggiore università urbana d’America, con 262 mila studenti e 23 scuole di specializzazione. Un tempo sorella povera di Columbia e New York University, è riuscita negli ultimi anni a migliorare, e di molto, il livello di collegio docenti e offerta accademica.
Durante il CdA succede però qualcosa. Uno dei consiglieri, Jeffrey S. Wiesenfeld, si alza e, con un discorso lungo e appassionato, chiede di bloccare il diploma per Kushner. Lo scrittore, a suo dire, si sarebbe macchiato di “opinioni particolarmente ingiuste” nei confronti di Israele, definendo la formazione dello Stato, nel 1948, “un’operazione di pulizia etnica”. Le parole di Wiesenfeld fanno il loro effetto. Altri consiglieri mugugnano. Il timore di prestarsi all’accusa di anti-sionismo cresce. Il preside, Benno C. Schmidt, per il quale i potentissimi consiglieri di amministrazione sono fonte di entrate, finanziamenti, donazioni, sospende l’assegnazione del premio allo scrittore.
E’ l’inizio di uno scontro violentissimo. Kushner, che è ebreo, si indigna. Dice che le sue opinioni sono state travisate, che lui è un ardente sostenitore del diritto ad esistere dello Stato ebraico, così come di quello dello stato palestinese. In suo appoggio arrivano tanti nomi importanti del mondo culturale newyorkese e americano: Michael Cunningham, Barbara Ehrenreich. I professori di CUNY minacciano lo sciopero. E l’ex-sindaco di New York, un altro ebreo, Ed Koch, tra i premiati di quest’anno, annuncia che rifiuterà l’onore di CUNY. “La penso in modo esattamente opposto a Kushner – spiega -. Ma ha il diritto di dire quello che pensa”.
Travolto dalle polemiche, il preside Schmidt dice ora di essere pronto a riconsiderare la sua decisione. Kushner, offeso, fa sapere che comunque non accetterà il diploma. Su tutta la vicenda, così americana nella tensione e tutela del diritto d’opinione, aleggiano soprattutto le divisioni più recenti nel mondo ebraico. Un mondo che, dopo l’elezione di Barack Obama, e la nascita di K Street (il gruppo ebraico americano che si batte per una pace giusta in Medio Oriente), appare meno compatto nell’appoggio incondizionato allo Stato ebraico, più capace di far sentire la voce dell’umanesimo ebraico, liberal e progressista, che Kushner ha rappresentato in questi anni.