Hilary Mantel, Wolf Hall, Fazi, 2010
Per chi voglia cimentarsi con il romanzo storico, quelli dell’inglese Hilary Mantel non deludono : riesce infatti a coniugare un’attenta ricerca storica con un linguaggio – direi quasi una sceneggiatura – accattivante, dove i dialoghi sono lo strumento chiave per la costruzione dei personaggi e lo sviluppo dell’azione. Wolf Hall, che esplora l’ascesa al potere di Thomas Cromwell , ha ricevuto il Man Booker Prize nel 2009, ma è stata una bella scommessa per l’editore Fazi considerando la mole e l’argomento non proprio consono agli appetiti dei lettori al di qua della Manica.
Il romanzo ci trasporta “dietro le quinte” della Storia nell’era dei Tudor alla corte di Enrico VIII. E’ evidente che, per Mantel, le ambizioni di potere dei singoli sono un fattore fondamentale nello sviluppo politico di una nazione, tanto quanto le ragioni economiche e sociali. Ne è un esempio lampante lo strappo dell’Inghilterra dalla Chiesa Romana e dal Papa, un evento di straordinaria portata politica per il paese, che tuttavia deve molto alle pulsioni sessuali di Enrico VIII verso Anna Bolena. Artefice di questa svolta epocale fu Thomas Cromwell la cui ascesa alla corte di Enrico VIII ci viene presentata dalla Mantel passo a passo, inch by inch, a partire dalla straordinaria scena iniziale quando, nell’anno 1500, Thomas adolescente striscia via “passo a passo”, appunto, sotto i colpi feroci del padre, fabbro ubriacone e violento. In quell’occasione, prima che un ultimo calcio lo privi definitivamente del respiro, decide di fuggire dalla natia Putney e dall’Inghilterra.
Ma che razza di uomo è il Cromwell di Wolf Hall? In un famoso ritratto del 1533 ad opera del fiammingo Hans Holbein, il consigliere del re, che poco dopo sarà nominato Segretario di Stato, appare in tutta la sua ufficialità come uno dei tanti potenti dell’epoca – un po’ bolso, il viso inespressivo e flaccido che scruta l’orizzonte vestito nella palandrana d’ordinanza. Eppure è l’ Uomo Nuovo, in un’Inghilterra ancora immobilizzata dai vincoli feudali e da un’aristocrazia asfittica e miope, che non ha minimamente percepito il cambiamento sociale in atto, il nuovo ordine delle cose:
Non si comanda il mondo … dalle fortezze di confine, nemmeno da Whitehall. Il mondo si comanda da Anversa, da Firenze, da posti che neanche immaginano …non dalle mura fortificate, ma nelle stanze della contabilità, non con lo squillo delle trombe ma con i click del pallottoliere (la traduzione è mia).
E’ una realtà nascente che Cromwell ha conosciuto nella sua lunga fuga oltre Manica: a Firenze si è immerso nelle arti della cucina, ma anche in quelle della finanza, ad Anversa ha affinato le capacità mercantili, in Francia, da soldato, ha imparato la ferocia e, soprattutto, il costo economico, delle guerre. Tornato a Londra, diventa avvocato, ma è il bagaglio di lingue e conoscenze accumulate fuori dall’Inghilterra, oltre che l’acume e l’intelligenza, a consentirgli di introdursi negli ambienti normalmente inaccessibili ad un uomo del popolo. Diventa infine il principale consigliere di Enrico VIII conquistandone la fiducia – e i cordoni della borsa del regno. A corte ha molti nemici ma
può redigere un contratto, domare un falco, disegnare una mappa, stroncare una rissa, arredare una casa e corrompere una giuria. Se cè qualcuno che può liberare il re dagli orpelli del matrimonio questo è il figlio del fabbro (la traduzione è mia).
Può darsi che Mantel abbia idealizzato troppo questo personaggio, mitigando persino l’ unico difetto apparente – l’ambizione innegabile e sfrenata – con sentimenti di solidarietà, diremmo quasi democratica, nei confronti dei meno fortunati e dei diseredati. Ma, anche per i richiami subliminali alle vicende contemporanee, dalle pagine di Wolf Hall emerge un personaggio affascinante e un istruttivo esempio di conquista del potere attraverso le capacità di mediazione unite ad un uso spregiudicato della leva finanziaria . Anzi, il fascino di questo raffinato uomo di mondo, che si impossessa dei complessi meccanismi di corte con la stessa disinvoltura con cui presiede alla preparazione di sofisticati piatti francesi per i propri ospiti, è tale da fare superare al lettore qualche momento di scoraggiamento. Infatti , malgrado la vivacità dei dialoghi, spesso conditi di quell’ humour cinico tutto inglese, pesano il numero dei personaggi piccoli e grandi (l’edizione originale si apre con un lungo elenco ragionato) e la quantità di pagine dedicate alla disputa infinita e insanabile con Thomas More, ritratto da Mantel come l’antagonista, l’esatto contrario di Cromwell, molto diverso dal personaggio del film Un uomo per tutte le stagioni .
Mantel chiude il suo romanzo proprio con la decapitazione di More nel 1535, quando la fortuna di Cromwell presso Enrico VIII è ancora allo zenit. Ma la caducità del potere è una verità che la scrittrice non manca di segnalarci fin dall’inizio della sua narrazione. Per cui, quand’anche il lettore non sapesse che, solo cinque anni dopo, la testa di Cromwell cadrà sotto la scure del boia, ha sempre la sensazione che un successo così non può durare più di tanto. In ogni caso, per ribadire il concetto, Mantel sta già lavorando al sequel che attendiamo con curiosità.